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 Sotto gli standard? Ah bé, come minimo. Parliamo del livello di gioco di una Namibia parsa ancora più arrendevole di quella che aveva preso una cinquantina di punti dagli Azzurri un paio di anni fa ai Mondiali. Ma è stata soprattutto la povertà del “contorno” a fare impressione. 

Un prepartita con le squadre schierate due-tre minuti a metà campo senza capire che cosa stava succedendo (nel senso che non lo capivano nemmeno i giocatori), riprese televisive da emittente locale italiana anni 80, con il pallone che appare e scompare dalle inquadrature, un paio di interruzioni, una grafica elementare. Niente replay, di conseguenza niente Tmo.

E qui interviene un ragionamento che riguarda World Rugby. Se si vuole dare dignità anche a confronti di secondo livello, non si possono accettare queste condizioni. Non è, intendiamoci, il caso di prendersela con l’organizzazione della Union namibiana, che avrà fatto quello che strutture e finanze le consentivano. La federazione internazionale, però, dovrebbe verificare prima se esistono certi presupposti di base: non per negare la disputa di certe partite, ma per intervenire, con somme modeste, in modo da garantire una qualità minima a quello che è un test match riconosciuto.

Ultima annotazione. Il regista ha indugiato sul pubblico quasi minuto per minuto, praticamente ad ogni sosta, per non soffermarsi troppo su un terreno di gioco da cui ogni tanto scompariva quasi ogni movimento. Sì, perché è stata inaccettabile anche la lunghezza delle pause “fisiologiche” dell’incontro: un peccato non veniale dell’arbitro Andrew Brace, che avrebbe perlomeno potuto provare ad accelerare le sequenze di gioco e invece ha permesso, contro ogni raccomandazione di World Rugby, che il match venisse fuori stiracchiato oltre ogni limite

Nella foto del titolo, le incerte immagini anni Settanta raccontano la meta di Marin, nel primo tempo. 

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