vai al contenuto principale

La fioritura è stata precoce e rigogliosa: un pareggio e due vittorie nel Sei Nazioni maschile, il miglior bottino di sempre da quando l’Italia partecipa al Torneo. Di seguito sono arrivate le comparsate in televisione, il clamore sui media, gli applausi, l’ottavo posto nel ranking, i selfie con la politica. Bene, bravi, evviva.

Dal primo week end dopo tante emozioni, però, è arrivato un filo di brezza gelida a ricordarci quanto precaria, talvolta, sia la primavera. Basta un calo di temperatura repentino per bruciare gemme e boccioli.

La sconfitta del Treviso a Llanelli non è un campanello d’allarme né una sirena, piuttosto è un monito: occhio a pensare che chi è stato superato (i gallesi) sia destinato a perdersi nelle retrovie senza reagire.

Cinque protagonisti della partita di Cardiff, quella che ha visto il Galles a secco contro l’Italia per oltre un’ora, vestita la maglia degli Scarlets hanno battuto in rimonta un Benetton che a sua volta, nei 23, ne schierava sette reduci dal Sei Nazioni. Più alcuni atleti di indubbio valore come Albornoz, Fekitoa, Mendy, Uren, Ratave.

Questo per sottolineare quanto gli equilibri nello sport di alto livello siano fragili: neanche il tempo di constatare quanto il Galles sia messo male, tra regioni e nazionale, ed ecco il risultato dal Parc y Scarlets a ricordare che anche una squadra che prima dell’ultimo week end aveva vinto solo due partite (una contro Cardiff) può trovare nel suo dna, nella sua storia, nella sua ricca cultura ovale, le motivazioni per vincere e reagire.

Chi pensa che il Galles sia fuori gioco, almeno per qualche stagione, farà bene a non illudersi troppo; nello sport non ci sono pasti gratis per alcuno e l’Italia U20, dai pari età gallesi, è stata battuta nel Sei Nazioni dopo essere andata al riposo in vantaggio 15-0…

L’altra considerazione che si può aggiungere è che Treviso paga l’impossibilitò di diversificare la rosa azzurra: una squadra sola (il Benetton), per quanto ben organizzata, non può reggere sia l’attività di club che quella della nazionale. A meno che non sia il Leinster che, a Parma , con cinque giocatori dell’Academy, più sei nati dopo il 2000, ha battuto nettamente le Zebre nella cui formazione c’erano  più di cento caps.

Rob Russell evita il placcaggio di Simone Gesi per andare a realizzare la prima meta del Leinster a Parma contro le Zebre (Harry Murphy/Sportsfile)

Il Leinster è il Leinster, può dire qualcuno…le qualità della squadra irlandese sono talmente note che fanno testo fino a un certo punto, ma la facilità con cui il club, senza i suoi internazionali e, praticamente, senza stranieri, a parte Ala’alatoa, ha avuta recentemente la meglio sulle due franchigie italiane deve suscitare qualche riflessione in chiave di lavoro e di futuro.

Infine la U19, sconfitta 36-27, nella seconda partita della breve tournee italiana del Giappone. Gli Azzurri avevano vinto la prima 22-20. La formazione giapponese era formata interamente da ragazzi delle scuole superiori: in Giappone nessun giocatore sotto i 20 anni gioca per i club professionisti della Japan Rugby League.

Tuttavia i giovani in maglia a righe bianche e rosse hanno mostrato competenza, tecnica individuale e grande organizzazione. L’anno prossimo questa U19 azzurra andrà a costituire la spina dorsale di una U20 su cui tutti noi appuntiamo grandi speranze, visti i recenti risultati, le vittorie sull’Inghilterra nel 2022, sul Sudafrica la scorsa estate, sulla Francia il mese scorso a Beziers.

Queste brevi note non vogliono essere un campanello d’allarme, ma semplicemente ricordare che come in Alice nel paese delle meraviglie, anche nel rugby di alto livello bisogna correre per restare fermi. Sedersi sugli allori può essere esiziale. Gonzalo Quesada lo sa bene e, infatti, sprona tutti a non mollare.

Nella foto di apertura i giocatori degli Scarlets celebrano la meta della vittoria, contro il Treviso a Llanelli. 

Torna su