Il settimo posto degli azzurri è il migliore di sempre nel World Rugby U20 Championshjp: si tratta di un dato statistico inequivocabile che non ammette contestazioni. Così è se vi pare.
Si poteva fare meglio? Probabilmente sì sul piano del gioco, no dal punto di vista della classifica.
Per raggiungere un posto fra le prime quattro servivano almeno 11 punti nella fase a gironi, la formazione di Santamaria si è fermata a 6. Per arrivare alle semifinali sarebbe stato necessario conquistare un punto di bonus contro la Nuova Zelanda e ottenere due vittorie con almeno quattro mete contro Georgia e Irlanda.
Azzurri all’inno prima del match di esordio con la Nuova Zelanda (foto Sabrina Conforti/World Rugby).
Le tre partite disputate nel Gruppo C dall’Italia, sono state le partite dei “se” e dei “ma”.
Se il calcio di punizione di Pietramala, contro la Nuova Zelanda all’80’, avesse centrato i pali, gli azzurri avrebbero conquistato un bonus che, per l’andamento dell’incontro sarebbe forse stato addirittura poco. Si poteva vincere contro i Baby Blacks? Per quello che i neozelandesi hanno saputo esprimere nel seguito del torneo, la risposta è no. Probabilmente il match d’esordio li ha colti un filo impreparati, l’Italia avrebbe potuto tendergli un’imboscata, ma la sconfitta di misura sarebbe stata tutto sommato il risultato il più giusto in quella serata.
Ma se l’Irlanda avesse trasformato la meta realizzata allo scadere dal tallonatore Minogue, nella seconda giornata, la vittoria bis sui verdi, dopo quella conquistata a marzo nel Sei Nazioni, sarebbe stata un pareggio. Diciamo che i due errori dalla piazzola, quello di Pietramala contro la Nuova Zelanda, e quello di Wisniewski a Viadana pareggiano il conto.
La meta del tallonatore irlandese nel match tra Italia e Irlanda a Viadana (foto Stefano Delfrate)
Infine la pazza partita contro la Georgia: un 19-19 che se i georgiani non avessero cercato a tutti i costi la quarta meta sarebbe stara per gli azzurri una sconfitta amara, avendo giocando gran parte del match in superiorità numerica, a un certo punto addirittura con due uomini in più.
Dunque c’è poco da recriminare: un posto fra le prime quattro era alla portata solo sulla carta non nei fatti. L’Italia nella prima fase è stata la squadra che ha realizzato meno mete, 6, peggio anche della Spagna, 8, e della Scozia, 9. Potersi battere per un posto tra il 5° e l’8° a conti fatti è stato un bonus, la Georgia ce l’ho regalato.
Azzurri incapaci di trasformare in gioco d’attacco la supremazia degli avanti in mischia chiusa e nei drive. Ai play off, contro l’Australia, la touche è stata disastrosa, così come per tutto il torneo lo è stato il gioco aereo e, di fronte alla velocità dei Junior Wallabies, anche la difesa, in altre occasioni solida (terzo minor passivo del torneo, dopo Nuova Zelanda e Sudafrica, 116 punti) si è sfaldata.
Una touche in Italia-Australia al Payanini di Verona (foto Maurilio Boldrini / World Rugby)
Infine la redenzione contro il Galles, per un settimo posto che una volta avremmo considerato un miracolo.
I problemi vengono da lontano: la squadra era un misto di “espoires” francesi, Piero Gritti (Clermont), Niccolò Beni (Biarritz), Jules Ducros (Montpellier) e Sacha Mistrulli (Grenoble), “accademici inglesi”, Edoardo Todaro che frequenta l’Academy dei Northampton Saints e Enoch Opuku-Gyamfi, in forza a quella di Bath, con l’aggiunta del sudafricano Luca Trevisan (Golden Lions). Accanto a loro, i soli Zanandrea e Milano hanno annusato qualche minuto nello United Rugby Championship: il primo 6’ con la maglia Benetton, il secondo 131 in tutto con le Zebre.
La meta di Federico Zanandrea contro la Georgia (foto di Stefano Delfrate)
Gli altri, da Casartelli a Braga hanno frequentato in gran parte le serie minori, la A e la A territoriale, mentre il numero 10 Fasti aveva alle spalle esclusivamente il campionato U18, in cui il Benetton ha vinto la maggior parte delle partite con punteggi da pallottoliere.
Inutile stupirsi se sono mancate saggezza tattica e capacità di sapersi adeguare alla pressione di una manifestazione internazionale, per di più giocata in casa, con tante aspettative nei confronti di ragazzi abituati ad esibirsi normalmente davanti a 30 spettatori e contro avversari di livello notevolmente inferiore rispetto a quello di queste tre intense settimane.
Perché questi talenti crescano secondo le esigenze di un movimento che aspira ad essere maturo servono percorsi e strategie adeguate. Le Zebre per alcuni di loro possono essere un passaggio importante, purché non diventi un modo per mandarli al massacro. E poi recriminare sui risultati.
nella foto del titolo una carica di Enoch Opoku-Gyamfi contro il Galles (Maurilio Boldrini / World Rugby).
