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Scorrendo l’elenco frutto dell’analisi e della lunga riflessione di Andy Farrell, Willie John McBride, capitano di questa storica confraternita, ha ammesso di essere infastidito. Al tempo delle sue campagne in rosso, i Lions erano British and Irish. Ora non è proprio così.

Mack Hansen e Sione Tuipulotu sono australiani, nati nel paese-continente che i Lions andranno ad affrontare e sono diventati grazie a legali famigliari uno irlandese, l’altro scozzese. “Chi poteva immaginare il percorso che avrebbe preso la mia vita?”, ha confessato quello che oggi è considerato uno dei più forti centri del mondo.

Pierre Schoeman, il pilone che desta l’eccitazione del pubblico del cardo, e il bel Duhan van der Merwe sono sudafricani; Jamison Gibson-Park, James Lowe e Bundee Aki, neozelandesi. La residenza e il posto di lavoro li hanno trasformati in blu di Scozia e in verdi d’Irlanda. Lowe ha un record: nel 2017 giocò da estremo dei Maori All Blacks contro i Lions di Warren Gatland. Il nero e il rosso, citando alla rovescia il titolo di un famoso romanzo di Stendahl.

Altre annotazioni su certe nuove realtà che sono andate ad impattare sul mondo Lion: Marcus Smith è nato a Manila, Joe McCarthy a Manhattan e Huw Jones, dopo aver visto la luce a Leith, ha avuto la sua formazione rugbistica in Sudafrica. In tutto, dieci su trentotto con radici non piantate nell’arcipelago.

Un bel gruppo di inglesi (Farrell figlio, Willis, Lawes tanto per citare alcuni nomi fatti prima che la lista di Farrell vedesse la luce), che meritavano o avrebbero potuto meritare un posto per il viaggio nel down-under, non sono stati tenuti in considerazione. E non per l’ostracismo che la Rfu riserva a coloro che varcano il Canale per sbarcare in Francia. I Lions, in questo, sono più permissivi. Ma ad Andy bastavano quelli delle isole e se in qualche caso erano isole molto lontane, pazienza.

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