
Ci sono due modi per vincere una partita di rugby: segnare più punti degli avversari, oppure subirne di meno. Sono la stessa cosa, analizzata da due punti di vista diversi: quello dell’attacco e quello della difesa.
Ora l’Italia, nelle ultime quattro partite (nell’ordine, Argentina, Georgia, Nuova Zelanda e Scozia) ha subito una media (abbondante) di quattro mete a incontro e non ne ha mai segnate più di due.
L’anno scorso, nel Sei Nazioni, l’Italia per la prima volta dal 2015 tornò sotto le venti mete al passivo (16 in totale).
Un dato che, insieme alle 9 realizzate nelle cinque partite (come nel 2000 e nel 2023) ha consentito agli azzurri di vincere due incontri e pareggiarne uno.
È evidente dunque che il problema va affrontato da entrambi i versanti: con due mete all’attivo batti solo la Georgia, e al massimo un Galles in disarmo come quello di un anno fa, che pure al Principality Stadium, realizzò tre mete, contro le due di Ioane e Pani.
E il fatto che a Murrayfield si sia stati in partita per almeno un’ora in un match in cui gli avversari hanno segnato 5 mete contro una sola, dice che non sempre i miracoli si possono ripetere: per vincere bisogna segnare di più e concedere meno. Elementare Watson, avrebbe osservato Sherlock Holmes.
L’Italia non ha mai segnato molte mete (vedi le due tabelle sopra), ma ultimamente segna poco soprattutto per il gioco che si propone. Che è quello di sorprendere gli avversari con la velocità e l’estro dei suoi uomini più dotati di capacità elusive, Capuozzo, Ioane, lo stesso Menoncello, che pure non manca di potenza e forza esplosiva.
Perché è evidente che la mischia azzurra, pur solida, non sarà mai quella di una “bomb squad” come sono quella francese, quella sudafricana, ma anche quella irlandese. Anche l’Inghilterra nei suoi primi otto uomini ha potenza e statura, che poi non riesca a mettere queste caratteristiche a terra è un’altra storia.
Scozia e Italia al cospetto di cotanti avversari, sono pesi medi. E tuttavia gli scozzesi, pronti via, hanno messo l’Italia alle corde, l’hanno costretta a fare gli straordinari in difesa: all’intervallo con il punteggio ancora miracolosamente in discussione (19-9), la Scozia aveva dovuto completare 32 placcaggi, contro i 104 di Negri (i suoi saranno 26 a fine partita), Nicotera (20), Lamaro (idem), Menoncello (15) e c. Stupisce che sul 19-19, quando la partita sembrava aver cambiato direzione, gli azzurri avessero ormai le armi scariche, consumate dal tanto sacrificio consumato nella prima ora di gioco?

Se le statistiche sono corrette, solo il capitano Rory Darge (12 placcaggi) e il tallonatore Ashman (11), fra gli scozzesi, hanno superato quota dieci.
Gli avanti della Scozia, complessivamente hanno portato avanti il pallone per oltre 130 metri, quelli dell’Italia si sono fermati a 103, ma Lorenzo Cannone (50) e Sebastian Negri (21) hanno fatto da soli tre quarti del lavoro.
Il cannoneggiamento per linee verticali ha costretto la difesa dell’Italia a stringersi sui portatori scozzesi, liberando spazio all’esterno dove Van der Merwe, Huw Jones e Darcy Graham facevano il bello e il cattivo tempo una volta lanciati in velocità.
Infine l’attacco degli Azzurri non solo ha avuto meno possesso (42% vs 58%), ma dai suoi punti di incontro il pallone è uscito in meno di 6” l’80% delle volte, contro l’’87% della Scozia.
Il vecchio detto che gli avanti vincono le partite, i trequarti decidono di quanti punti, ancora una volta si è dimostrato attuale.
Si può migliorare? Certamente si può migliorare: “sennò gli allenatori che ci stanno a fare?” ha detto, prima dell’inizio del Torneo, Gonzalo Quesada. Non resta che augurargli buon lavoro.
Nella foto del titolo (SRU) Huw Jones autore di una tripletta