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L’annuncio perentorio da parte della Fir che la finale del Campionato di Serie A Elite, nonostante il parere negativo dei club, verrà disputata il 2 giugno (ore 17.30, diretta su Rai2) ha trovato immediata risposta in questo comunicato firmato da Roberto Manghi in rappresentanza dei presidenti delle società:

“La Federazione Italiana Rugby ha annunciato ufficialmente ieri lo spostamento della Finale del campionato di Serie A Elite al 2 Giugno. Lo ha fatto ignorando le istanze e le esigenze dei club, ampiamente spiegate e documentate. Prendiamo atto della decisione della Fir che pare evitare qualsivoglia condivisione e confronto. Già nella riunione del 28 marzo ultimo scorso al Presidente Innocenti era infatti già noto lo spostamento dell’ultimo atto del campionato. I club della Serie A Elite annunciano che saranno valutate azioni e proteste nel corso dei play off per accendere un faro sull’attuale gestione del massimo campionato domestico. Ad oggi non tutte le società possono garantire una rosa al completo per l’eventuale finale e non è da escludersi che la stessa, per questi motivi, non potrà essere disputata.”

Mirco Spagnolo rivelazione in maglia azzurra dell’ultimo Sei Nazioni qui con la maglia del Petrarca durante la finale con il Rovigo della scorsa stagione (Federugby/Federugby via Getty Images)

Lo scontro ha raggiunto insomma livelli di incandescenza assoluta, al cui proposito meritano essere riportate qui le considerazioni che Luciano Ravagnani scrisse a fine 1999, alla vigilia dell’ingresso dell’Italia nel Sei Nazioni: venticinque anni, apparentemente trascorsi invano: 
“Tutte le storie di questo sport, così lontano dalla nostra cultura e dalla nostra educazione – scriveva Ravagnani nella sua prefazione al libro di Francesco Volpe e Valerio Vecchiarelli “2000 Italia in Meta” – così lontano anche dalla nostra comune religione […] hanno finora girato attorno al nocciolo della questione. Cioè la Nazionale come “strumento” capace di agglutinare le decine di isole rugbistiche sviluppatesi in Italia. Per fare del rugby uno sport nazionale. Molti anni or sono (venti, venticinque…), uno studio commissionato dalla Federazione Italiana sullo stato della Nazionale rugbistica, portò alcuni Maestri dello Sport del CONI alla conclusione che nel movimento italiano esisteva uno “slegame endogeno” che frenava, ostacolava, soffocava la crescita. In poche parole tutti andavano per loro conto ognuno praticando il guicciardiniano “suo particulare”; un individualismo deteriore, presuntuosamente convinto di essere depositario del verbo ovale; rifiuto generalizzato del sapere altrui a meno che non fosse sapere d’oltre confine, accettato spesso in maniera acritica sulla base del campanilismo più retrivo; quasi il timore di crescere per merito del vicino. Insomma più che mai, anche nel rugby, l’Italia delle Regioni e delle Province, e delle Città. E, più giù ancora, dei Comuni se non dei Quartieri”.

Questa la lucidissima fotografia scattata all’epoca da Ravagnani.

“Si comprenderà leggendo Vecchiarelli e Volpe – aggiungeva – anche il motivo per il quale molto spesso tra la Nazionale e i club, tra l’azzurro e le città-isola, non sempre c’è stata simpatia; perché non sempre la Nazionale è stata la proiezione dei più vincenti; perché il gioco dei club quasi mai si è innestato nelle rappresentative azzurre al punto che il campionato è stato sovente accusato di tradire l’Italia, di essere un corpo estraneo nell’ingranaggio della Nazionale”.

La creazione, nel 2010, delle franchigie ha acuito la distanza tra il vertice e una base refrattaria a sentirsi parte di un progetto collettivo.

Nella stagione in cui l’Italia ha disputato il suo miglior Sei Nazioni, siamo sempre all’anno zero: il rugby azzurro si aggrappa a un Treviso finalmente vincente, più per meriti individuali del club che per una strategia collettiva, il resto è lontano, diviso, da sempre alla ricerca di un’identità che premi gli sforzi della base e quelli dei tanti suoi uomini di buona volontà.

Servirebbe qualcuno capace di coinvolgere il movimento intero attraverso l’identificazione di obiettivi strategici comuni e una comunicazione condivisa, In una parola bisognerebbe far in modo che questo sport, anche in Italia, diventi cultura. Un traguardo che al momento pare drammaticamente lontano.

Nella foto del titolo, Rovigo festeggia la vittoria nella finale 2023 (Federugby/Federugby via Getty Images)

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