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Avrà anche abbandonato del tutto i terreni con le porte ad acca: ultima tappa, i corsi estivi per giovani rugbisti tenuti a Pompadour, il paese del suo amico fraterno Pierre Villepreux. Ma Georges Coste ha voglia di schermirsi e di dichiararsi ormai lontano dal mondo della palla ovale. In verità è sempre ultra-aggiornato, legge e segue match alla tv, non gli sfuggono nuovi personaggi, talenti che sbocciano, tendenze del gioco.

Sguardo acuto, esperienza colossale, intelligenza e sensibilità in dosi fuori dal comune. Georges compie oggi 80 anni. Da Carbère, paesino agricolo di collina dove è nato, ad Argelés-sur-Mer, dove vive ora. Sempre nella zona di Perpignan, sempre nel profondo Sud francese. Terra di grandi tradizioni ovali (perfino per il gioco a 13). Una vita che si è intrecciata ben presto con il rugby: giocatore di ottime qualità  (nelle Nazionali giovanili della Francia fino a un infortunio che gli ha precluso l’alto livello), poi allenatore-giocatore, poi allenatore nella massima serie transalpina, sempre senza lasciare la sua professione di educatore, cui era legata una laurea in Scienze motorie.

Nonostante un curriculum non banale, nel 1993, quando è arrivato in Italia, non c’era una gran fama ad accompagnarlo. Fama no, fame sì: di successi, di riconoscimenti che potevano portare la Nazionale molto più in alto di sempre. Giancarlo Dondi, allora team manager della Nazionale, lo “intercetta” durante i Giochi del Mediterraneo, a giugno 1993. Il suo nome gli è stato indicato proprio da Villepreux. Georges studia alcuni match degli Azzurri e conquista Dondi con le sue osservazioni. Via libera anche dal presidente federale Maurizio Mondelli.

Comincia così l’età d’oro dell’Italrugby. Coste ha fame, i suoi giocatori anche. “Dovevamo dimostrare qualcosa”, spiega. Grazie anche a una serie di fattori concomitanti (tra cui, innanzitutto, una buona generazione di atleti, quasi tutti distribuiti tra Benetton e Milan), la Nazionale cresce, convince e, naturalmente, vince. Le fondamenta vengono gettate quando, nel 1994, l’Italia di Coste e del suo assistente Massimo Mascioletti riesce a spaventare l’Australia campione del mondo in due test match giocati agli antipodi. La maturazione completa del progetto arriva nel biennio 1997/1998. Irlanda battuta prima a Dublino e poi a Bologna, Scozia superata (per la prima volta) a Treviso, Argentina sconfitta a Piacenza (sono passati 25 anni e da allora, in Italia, i Pumas hanno sempre vinto).

Ma gli exploit maggiori, non solo in campo, sono due. Marzo 1997: a Grenoble si celebra la prima vittoria di sempre contro la Nazionale maggiore francese, che aveva appena conquistato il torneo delle Cinque Nazioni con tanto di Grande Slam. A gennaio 1998 arriva una comunicazione che fino a pochi anni prima poteva essere collocata solo nel campo del fantarugby: l’Italia è ammessa al torneo più antico e prestigioso di sempre, che dal 2000 si chiamerà Sei Nazioni.

Missione compiuta per Coste, per i suoi giocatori e per la Federazione, cui va dato credito per un lavoro diplomatico non banale.

Il 1999 si apre con la notizia peggiore (la scomparsa improvvisa di Ivan Francescato) e prosegue con una serie di risultati pesantemente negativi. Coste – che aveva guidato la Nazionale ai Mondiali 1995 – non arriverà alla Coppa del Mondo.

Veniamo ai giorni nostri, al sondaggio del sito di Allrugby per individuare il migliore ct dell’Italia nell’epoca del Sei Nazioni, successiva al periodo in cui l’uomo di Perpignan era al timone. Non era possibile equivocare sulla domanda posta ai lettori (si dirà utenti? mah…), eppure – incurante delle collocazioni temporali e, direbbero nella cittadina di Rugby, “con una bella mancanza di riguardo” nei confronti del quesito posto – il campione di “elettori” si è espresso lasciando poco spazio a dubbi. Il migliore tecnico degli Azzurri? È stato lui, Coste. Punto e basta. Buon compleanno, Georges.

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