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Jacques Brunel, ex ct delle Nazionali al di qua e al di là delle Alpi, la finale dei Mondiali la vedrà da casa, tra amici. “Non c’è più la Francia – ammette – altrimenti sarebbe stato diverso”.

E allora buttiamolo subito giù, questo calice sgradito al vigneron Jacques: “C’è poco da dire: si pensava di avere la squadra giusta per vincere la Coppa e invece si è perso, di pochissimo, nei quarti di finale. È successo anche all’Irlanda, ma d’altronde con le quattro migliori del mondo sullo stesso lato del tabellone è un rischio che si corre: che cosa si poteva chiedere di più agli irlandesi, che sono restati sempre in partita e alla fine hanno messo insieme 37 fasi di gioco?”.

“Ogni partita – aggiunge – ha la sua storia: contro di noi il Sudafrica ha scelto una strategia che ha funzionato, puntando sul gioco al piede e soprattutto su una panchina più forte della nostra. È stato determinante, per loro, cambiare abbastanza presto i due mediani, cosa che poi hanno fatto anche in semifinale con l’Inghilterra: bisogna riconoscere la qualità del loro lavoro e delle loro decisioni”.

E ora può fermarli solo la Nuova Zelanda…

“Che ha un’impostazione abbastanza simile a quella della Francia. La struttura di gioco è basata sull’avanzamento e c’è naturalmente un’organizzazione, però con alcuni giocatori capaci di cambiare la situazione in campo in ogni momento, per sfidare l’avversario e metterlo in difficoltà. Sono pochissime le squadre che hanno queste capacità. Vedremo se prevarrà la strategia degli Springboks, basata sulla solidità del loro gioco, o se gli All Blacks vinceranno anche grazie agli sprazzi di improvvisazione. Io spero che la loro idea del rugby sarà vincente, ma non posso dire che la Nuova Zelanda è favorita, perché ha avuto un percorso meno lineare. Nella prima fase ha perso nettamente dalla Francia (mentre i sudafricani sono stati battuti, sì, dall’Irlanda, ma in una partita molto più equilibrata), poi ha giocato un quarto di finale incredibile proprio contro gli irlandesi, seguita, però, da una semifinale piuttosto semplice. È una finale dove si farà valere una grande esperienza, soprattutto fra gli avanti. I sudafricani la giocano da campioni uscenti, forse con un po’ più di abitudine a scontri di questo genere. Alla fine un pronostico è molto difficile”.

Parliamo dell’Italia.

“È stata una delusione. Era cresciuta durante il Mondiale e si trovava ad avere due chance. Pensavo che avrebbe potuto scommettere tutto sulla partita con la Francia, perché gli Azzurri la affrontano tutti gli anni nel Sei Nazioni e lo scorso inverno erano andati vicini a batterla. Invece una scelta definita non c’è stata e sono arrivate due sconfitte con scarti molto grandi. Questo mi è dispiaciuto, puoi perdere ma non arrivare a prendere quattro mete in dieci minuti. A questi livelli è terribile subire quasi 100 punti e, dopo un punteggio così pesante con la Nuova Zelanda, era chiaro che non potevano esserci speranze nell’ultimo match”.

Quali novità ci ha portato questo Mondiale?

“Ho visto squadre, anche non abituate a questi standard, che mi sono piaciute molto. Metto davanti a tutte il Portogallo, che ha dimostrato qualità, capacità di difendere e pure di imporre qualcosa. In media mi sembra che qualche formazione sia passata da un gioco in cui l’occupazione è la prima scelta a uno con un po’ più di varietà e di coraggio. Non parlo certo dell’Inghilterra, però: in semifinale ha superato il 90% di palloni calciati, senza variazioni: una partita così è un disastro per il rugby”.

Nella foto  Jacques Brunel Fotosport/David Gibson

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