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Luciano Ravagnani mi fa notare che giovedì si apre a Trento il Festival dello Sport organizzato come negli scorsi anni dalla Gazzetta: sesta edizione, quattro giornate. “Ho letto rapidamente il programma – mi dice Luciano -: 170 incontri, 29 discipline, dal calcio, ovviamente, dal tennis e dallo sci, al padel e all’ultrarunning. “La grande bellezza” è il titolo del Festival. Si parla di tanto, centinaia di ospiti, ma NULLA DI RUGBY. Proprio niente”. Per uno sport che vive la sua Coppa del Mondo in queste stesse settimane un fiasco totale, una marginalità da far rabbrividire. Per di più in un paese, l’Italia, che rivendica nel rugby, a livello agonistico, un posto fra le prime dieci nazioni del pianeta (Tier1) e che non più tardi di dieci giorni fa sognava di battere la Francia o gli All Blacks.

D’altra parte, venerdì sera, per Francia-Italia, gli spettatori su Rai2, prima serata, in chiaro, sono stati 507 mila pari al 2,7% di share. Su Rai3, lo speciale su Totò, (Totò e il principe De Curtis. L’uomo oltre la maschera) ha fatto di più. 586.000.

Meglio così, dirà qualcuno avveduto. Meglio che gli spettatori del massacro sportivo dell’Italia siano stati meno, piuttosto che più.

Il rugby del resto richiede una profonda cultura del gioco per essere compreso, apprezzato e vissuto. La maggior parte degli interventi arbitrali sono incomprensibili per un pubblico non abituato a seguire le partite. E una formazione azzurra che in due incontri subisce una media di un punto al minuto (154 tra Francia e All Blacks, nell’arco di 160 minuti) non invoglia certo lo spettatore a rimanere incollato alla tivvù.

Sempre Luciano Ravagnani, grande maestro di tutti noi giornalisti ovali, sottolineava a questo proposito un fatto, tutt’altro che secondario: nelle 9 edizioni disputate finora solo otto paesi hanno avuto accesso alle semifinali. 8 volte la Nuova Zelanda, 6 volte Australia e Francia, 5 volte Inghilterra e Sudafrica; 3 volte Galles; 2 Argentina; 1 Scozia.

Questi otto paesi hanno costituito la loro federazione nell’800. Prima, ovviamente, l’Inghilterra (1871), ultima l’Argentina (1899)   L’Australia risulta costituita ufficialmente nel 1949, ma dal 1875 Queensland e New South Wales rappresentavano gli australiani nella “Southern RFU”. Quindi anche le origini del rugby australiano risalgono a quasi 150 anni fa.

Le federazioni costituite dal 1900 in poi non hanno mai visto i primi posti. Cos’è il rugby moderno? Si chiede Luciano.

Un misto di storia e tradizione verrebbe da rispondere con questi dati. Esattamente quello che l’Italia si sforza di cancellare. Raccontandosi che la squadra che abbiamo portato al Mondiale era la nazionale più forte di tutti i tempi. Ignorando il passato, non avremo mai futuro.

Nell immagine di Justin Setterfield (World Rugby/World Rugby via Getty Images) un momento di Italia-Namibia

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