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Andamento lento per l’esordio azzurro nel Mondiale di casa, contro i baby Blacks salta fuori una sconfitta (5-14, 1-2 il conto delle mete) al termine di una partita senza padroni, spezzettata dal caldo, dalle pause, da una litania di errori, dai crampi figli dell’afa e dagli infiniti ricorsi che l’arbitro irlandese Peter Martin fa al Tmo. Iniziando dalla fine l’Italia esce dal San Michele di Calvisano con il miglior risultato di sempre contro la Nuova Zelanda insieme con una baule di rimpianti, perché il calcio piazzato che Pietramala spadella da posizione agevole sul fischio di chiusura poteva valere un punticino di bonus, il minimo sindacale richiesto per premiare almeno la volontà messa in campo da una squadra che costruisce occasioni e le distrugge nello stesso momento (3 calci di punizione non spediti in touche, 3 touche decisive perse, gioco aereo da rivedere).

L’haka dei Baby Blacks (foto Sabrina Conforti- World Rugby)

Dopo un’haka infinita da far sospettare che i ragazzoni in nero si siano allenati più nel rendere impeccabile la loro scenografia che nel perfezionare la tattica di gioco, resta una serata senza un filo conduttore e senza ritmo, aperta dall’infortunio lampo di Vallesi che al primo scontro di gioco rimane sul prato e costringe Bolognini a sobbarcarsi un lavoro straordinario non previsto. L’Italia ci mette un po’ per uscire dallo shock e intanto la Nuova Zelanda segna con Letiu concretizzando la più classica delle azioni del rugby moderno: touche a 5 metri, drive senza ostacoli, il tallonatore che si traveste da metaman e obbligo di partire di rincorsa. Dopo un inizio così nell’afa si attendono grandinate di punti e invece gli azzurri si affidano a una difesa avanzante, a un dominio in mischia chiusa, a un’impeccabile disciplina (solo 5 penalties concessi contro 12), sfruttano l’energia di Casartelli, soffrono la poca dimestichezza che ha Todaro con il ruolo di estremo (durante il Sei Nazioni era sembrato molto più efficace a centro), mettono in evidenza l’ottimo esordio di Casarin, perfetto nell’andare a rubare palloni nel breakdown e mantengono la barca in linea di galleggiamento, anche se si smarriscono quando c’è da concretizzare la superiorità numerica per il giallo a Solomon.

Alla mezzora il primo, imperdonabile errore della serata passata in difesa: Casartelli si allontana da una mischia chiusa, lì non c’è una guardia e il mediano di mischia Piedger ha davanti a sé una prateria. Meta sotto ai pali. I neozelandesi non segneranno più un solo punto, ma tanto basta.

Si va avanti con il tempo effettivo di gioco che diventa una chimera alla faccia dei richiami di WorldRugby, l’Italia difende, la Nuova Zelanda calcia e la differenza è tutta lì, nella conquista di territorio con il piede e nell’incapacità di trovare una soluzione alternativa per risalire il campo.

L’unico squillo azzurro arriva in avvio di secondo tempo a concludere la più bella azione corale di una serata appiccicosa. Tutti toccano la palla avanzando, Casartelli rompe un placcaggio e invita al suo interno Beni a correre. La meta è bella e potrebbe servire per accendere l’entusiasmo di una rimonta possibile, ma il piede di Cole e l’apatia da umidità gettano afa sul fuoco. Si va avanti a strattoni, il pubblico del Mondiale italiano è distratto, non sembra di giocare in casa e di essere a un passo dall’impresa contro gli All Blacks, non certo un’abitudine per il rugby azzurro. Complimenti a tutti, perché la realtà va sempre guardata negli occhi e loro sono gli All Blacks e noi l’Italia che certe notti così le poteva solo sognare.

La mischia dell’Italia ha messo in seria difficoltà quella Nuova Zelanda (foto di Stefano Delfrate)

Il mediano di mischia neozelandese Dylan Pledger autore della meta alla fine del primo tempo che ha di fatto deciso il match Però. Però la storia insegna che certe occasioni non si ripresenteranno facilmente. L’Italia dei giovani cresce e questa è la notizia migliore. C’è tutto un Mondiale da vivere per dimostrarlo.

Nella foto del titolo una presa in touche di Mattia Midena  (foto Delfrate)

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