
La grande sudata
L’esordio del Mondiale Under 20 a Calvisano è stato un successo nazional popolare: panini alla salamina, birra, bambini, senso di appartenenza e rugby gagliardo. Il movimento meriterebbe più eventi del genere per compattarsi e confrontarsi
L’anno scorso di questi tempi sono usciti i biglietti per Italia-Nuova Zelanda a Torino. In pochi ci siamo accorti dell’infelice scelta per l’orario: le nove di sera di un sabato di novembre a un passo dall’arco alpino. Risultato? Con il Sudafrica, sempre allo Juventus Stadium, sempre in autunno, si giocherà all’ora di pranzo. Dobbiamo studiare qualcosa per le future edizioni del Mondiale U20, perché giocare a giugno e luglio a Calvisano, Verona, Viadana e Rovigo è contro le norme di buon senso, in contrasto con qualsiasi decalogo ministeriale sul grande caldo. La formula è però vincente: prezzi popolari e biglietti come il cinema di una volta: tre spettacoli, entri ed esci quando vuoi, ti siedi dove ti pare, mangi e bevi senza troppi problemi. Dalla televisione era difficile cogliere l’atmosfera che metteva insieme il Presidente federale Duodo (impegnato all’intervallo a calciare palloni promozionali in tribuna, idea balzana per un terza linea) al bambino del Rugby Feltre che sui gradoni dormiva beato con la mamma che gli sventolava la bandiera dell’Italia per rinfrescarlo. Il pubblico del Mondiale Under 20 appare diverso da quello del Sei Nazioni e dei test, è una nicchia nella nicchia, attirata dal clima da sagra e da una libertà di accesso all’impianto totale, agli antipodi della fredda accoglienza di Torino dove i controlli dei biglietti e di sicurezza erano paragonabili ai un volo per gli Stati Uniti.
Una carica del flanker Xola Nyali: i Junior Springboks sono stati imprendibili per gli australiani (foto Sabrina Conforti/World Rugby)
Alla fine poi chissenefrega del bollino rosso, dei 40° percepiti, delle lunghe file per le casse (a contraltare l’attesa irrisoria per bibite e cibo), Sudafrica-Australia è stato un match atleticamente pazzesco, con gli Springboks superlativi in campo aperto (sarà per via di un XV molto coloured?) e l’Australia aggrappata solo a qualche individualità. A seguire, la battaglia all’arma bianca da parte dei caucasici georgiani ha messo in difficoltà – come previsto – gli irlandesi, più ordinati che efficaci ma se questa doveva essere la partita più incerta del lotto, è stata Italia-Nuova Zelanda a regalare qualche sorpresa.
Una fase di Irlanda- Georgia al San Michele di Calvisano nella prima giornata del World Rugby U20 Championship (foto di Sabrina Conforti)
La sera al San Michele non ha portato nessun refrigerio ma a togliere il fiato non è stata la mancanza di brezza ma la haka dei giovani neozelandesi. Iniziata in cerchio, nascondendo il leader, è stata lunga, coreografica, rumorosa. “Per me l’Haka significa connettersi con la terra, connettersi con i miei antenati e con i miei fratelli che mi sono accanto”, spiegava una volta TJ Perenara, e la sensazione è stata questa: una danza ipnotica dalle movenze e versi inedite alle orecchie italiane, un crescendo che poi è sfociato con la più classica delle haka, la “Ka Mate”. Purtroppo poi i giovani All Blacks non sono stati all’altezza della loro performance pre partita: hanno giochicchiato, hanno goduto degli errori degli Azzurri e hanno portato a casa pellaccia e risultato. Mentre noi, rimpianti a parte, possiamo solo compattarci sull’attitudine difensiva – davvero notevole – che sarà decisiva con Irlanda e Georgia per tentare di passare il turno.
Vi lasciamo con un link (clicca qui) all’articolo ufficiale della federazione neozelandese che sottolinea i meriti azzurri e i demeriti dei loro ragazzi che, è bene sottolinearlo “nel secondo tempo non hanno segnato neanche un punto”. Insomma, li abbiamo fatti sudare.
La foto del titolo è di Sabrina Conforti / World Rugby.