
Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta, diceva Giampiero Boniperti quando era presidente della Juve. L’Italia ha vinto con il Galles e tutti festeggiamo.
Gonzalo Quesada ha detto che questa vittoria è stato un punto importante nell’evoluzione della squadra “perché abbiamo vinto con uno stile di gioco che non è nel nostro dna, che è fatto di attacco, movimento, velocità”. I sogni son desideri, anche il ct lo sa…
Delle tredici partite disputate dall’Italia sotto la guida di Quesada, solo tre si sono concluse con gli Azzurri capaci di segnare più mete degli avversari: quella con l’Inghilterra, la prima del Sei Nazioni 2024, e le due, con Tonga e il Giappone, durante il tour della scorsa estate.
Nelle altre dieci partite, comprese quella vinte, contro la Scozia, il Galles (entrambe) e la Georgia, l’Italia ha segnato meno mete di chi aveva difronte, o al massimo, il numero è stato pari.
La pressione di Ruzza su Tomos Williams (Foto Delfrate)
In questo Sei Nazioni, una partita persa e una vinta, gli Azzurri hanno messo a segno in tutto due mete e ne hanno subite sette, cinque solo a Murrayfield.
Da quando Quesada ha preso in mano la squadra, l’Italia ha raccolto in tutto 29 mete, che rappresentano il 50% esatto del bottino totale di punti conquistato dalla squadra.
Le 28 mete del Galles, l’unica squadra che negli ultimi 13 mesi ha segnato meno dell’Italia, rappresentano invece il 65% dell’intera torta dei Dragoni.
Per l’Inghilterra le 49 mete sono il 63% dei 388 punti complessivi realizzati a partire dal 2024 dalla squadra di Steve Borthwick.
La Francia (48 mete) è ferma al 58%, l’Irlanda (46) è al 64%, la Scozia (70 mete) è addirittura prima in questa classifica con il 67%.
Dopo due giornate, Italia (5 “line breaks”) e Galles (7) sono le uniche due squadre al di sotto della doppia cifra per numero di volte in cui hanno bucato la difesa avversaria (Francia e Inghilterra prime con 17, Irlanda 16, Scozia 11). A novembre i nostri “buchi” erano stati 14, quelli della Scozia (senza contare il match con il Portogallo) 26, quelli dell’Inghilterra (vs All Blacks, Australia e Sudafrica…) 16, la Francia nostra prossima avversaria ne aveva collezionati 23.
Tommy Allan determinante dalla piazzola (foto Stefano Delfrate)
In compenso l’Italia, dal 2024 a oggi, ha concesso solo 329 punti, dodici in meno rispetto all’Inghilterra (che però delle 14 partite ne ha disputate 3 contro gli All Blacks e una contro il Sudafrica…), 102 in meno rispetto al derelitto Galles e soltanto 5 in più rispetto alla Francia.
Tutto questo per dire che i risultati degli Azzurri, al di là del giusto marketing proposto alla stampa (“squadra votata all’attacco, con giocatori rapidi, interpreti di un rugby di movimento”) dipendono soprattutto da tre fattori antichi come il rugby e imprescindibili per qualunque traguardo: una prima linea solida, un calciatore molto affidabile che tramuta in punti ogni calcio di punizione conquistato dai 55 metri in su, la disciplina (18 i penalty concessi in totale nelle due partite, 8 meno del Galles, uno più di Inghilterra e Scozia, uno meno dell’Irlanda).
“Fatichiamo a concretizzare quando siamo nei 22 avversari – ha spiegato dopo il match contro i gallesi Lamaro -, mentre siamo molto bravi a mettere pressione a cavallo della metà campo a tramutare in punti le punizioni che otteniamo nei cinquanta metri dell’altra squadra”.
Insomma l’Italia, con Gonzalo Quesada, ha imparato a restare in partita cercando di non concedere troppo in difesa (anche se il conto delle mete al passivo resta alto) e a tramutare in punti ogni occasione di calciare dalla piazzola.
Danilo Fischetti, uno degli azzurri più in vista in questo inizio di Sei Nazioni (foto Stefano Delfrate)
E ciò anche se il ct ha ribadito che questo “non è nel dna della squadra”, che preferirebbe attaccare e giocare un rugby più spettacolare. “Perché – ha osservato Quesada -, un gioco così speculativo può annoiare, ma noi abbiamo imparato a rispettare le condizioni del campo e quelle atmosferiche, ad essere pazienti e a fare quello che serve per vincere”.
Quindici anni fa Nick Mallett predicava la stessa pazienza, sperava di rimanere in gara fino alla fine: “perché se riusciamo ad arrivare in volata, tutto può succedere”, diceva.
E Luciano Ravagnani, patriarca dal giornalismo ovale italiano, ribadiva ancora di recente che: “se riesce ad abbassare il ritmo (come è successo con la pioggia a Roma, ndr), l’Italia è competitiva con tutti. Se il ritmo si alza (come è stato nel primo tempo a Murrayfield…), le cose per gli azzurri si fanno dure”.
A Murrayfield, i palloni giocati dall’Italia in meno di 3” dall’impostazione del punto d’incontro sono stati il 47% del totale (Scozia 53%), a Roma il 37% (Galles 48%).
La morale: difendere, concedere meno, raccogliere tutti i punti che ti regala la disciplina degli avversari, ancorarsi ai principi classici del gioco, la mischia, la touche, senza farsi prendere dalla frenesia del gioco. Forse Quesada dirà che non è vero: ma si sa, certe strategie si applicano, ma non si dicono. E, quando si vince, tutto giustamente fa brodo.
Nella foto del titolo, di Stefano Delfrate, Capuozzo lanciato in meta dal calcetto rasoterra di Paolo Garbisi