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A Pier Paolo Pasolini, alla rassegnata ricerca di un mondo perduto, soffocato dallo sviluppo a tutti i costi, piaceva un aggettivo ricco di nostalgia: rustico. Non c’era rugby più rustico, proletario, radicato che quello gallese. E questo al di là degli stereotipi che volevano i giocatori usciti dalle miniere che, dopo essersi lavata la faccia nera di polvere di carbone, erano pronti a solcare erba e fango, a inventare colpi da maestro.

Era il rugby delle valli, delle rivalità, dei diamanti scovati come un koi-ho-nor, della nazionale che si formava per germinazione spontanea, per molti anni senza un allenatore, senza sapere nulla dell’avversario che veniva di là dal Severn o dall’altra parte del mondo. E tutto questo serviva a formare un tessuto – rustico, appunto – che fasciava il corpo orgoglioso del piccolo popolo, semplice, cordiale, fiero.

Ci sono state molte albe, molti giorni luminosi, molti interpreti destinati a una storia simile al mito. Uno dei documenti che più commuove non appartiene al rugby ma è come, per spirito, facesse parte di quella sfera ovale: è il telegramma che i minatori inviarono a Lynn Davies dopo la medaglia d’oro nel salto in lungo ai Giochi di Tokyo. Tutti si tassarono per un penny.

Lynn Davies, Gareth Edwards, Jpr Williams, Barry John, Gerald Davies detto l’Arte in Movimento, Merwyn Davies, Phil Bennett, Teddy Morgan, Carwyn James, ma anche Dylan Thomas, Ryan Giggs, Gareth Bale, Bryn Terfel, Joe Calzaghe dalle origini sarde e, per i più vecchi, John Charles che confermando doti di quella terra, cantava benissimo da basso: il Galles del Cucchiaio di Legno “conquistato” dopo 21 anni è popolato di questi nomi, di questi ricordi, di questi fantasmi. Tutti hanno reso felice Cymru, il popolo del Dragone, delle Tre Piume diventate simbolo dopo un’antica, sanguinosa giornata.

Dafydd Jenkins capitano nell’ultimo Sei Nazioni al centro del cerchio gallese dopo il match con la Francia

Se Andy Farrell dovesse render nota oggi la lista del Lions per il tour in Australia, quanti gallesi rientrerebbero? Forse un paio, come capitò alla Scozia in stagioni grame. In passato per avventure oltreoceano chi smetteva una maglia rossa per infilarsi in un’altra dello stesso colore superava la dozzina. Capitò nella memorabile campagna del ’71, ma è capitato anche di recente quando i Leoni guidati da Sam Warburton pareggiarono la serie con gli All Blacks,

Proprio Warburton, costretto ai ritiro in giovane età e titolare di una rubrica sul Times, ha scritto di una decadenza dai molti rivoli: un sistema di accademie affidate alle regioni che non produce come un tempo, il disinteresse mostrato da giocatori di origine e formazione gallese (l’ultimo è Immanuel Feyi-Waboso) a indossare la maglia della nazionale, il declino delle franchigie che hanno preso il posto dei club storici, le difficoltà finanziarie, il terremoto – a causa di comportamenti non… consoni – che ha sconvolto i vertici della Union. Il ritorno di Warren Gatland, che aveva assunto un sapore messianico, ha provocato soltanto il sussulto del Mondiale quando lo scoglio della fase a gironi è stato superato.

La zona d’ombra si è allargata e ha preso le sembianze del più brillante talento giunto in scena in queste ultime stagioni: Louis Rees Zammit ha lasciato il Galles e il rugby per provare l’avventura dei suoi sogni, la Nfl. Ha firmato per i Kansas City Chiefs, campioni nell’ultimo SuperBowl e già lo chiamano Louis il fulmine. Troverà un posto nella “rosa” infinita dei 53? Il suo 4”44 sulle 40 yards è già un punto a favore.

Louis Rees-Zammit contro l’Argentina ai Mondiali l’ultima sua partita con la maglia del Galles  (Photo by Michael Steele – World Rugby/World Rugby via Getty Images)

Il 6 Nazioni è stato un severo maestro: due sconfitte strette con la Scozia (la rimonta a un certo punto aveva assunto l’aspetto del miracolo) e con l’Inghilterra, due nette con Irlanda e Francia, e quella con l’Italia, dal punteggio che può ingannare. E lo scivolamento sempre più in basso nel ranking. Ora il Galles è nono e in estate – sarà un caso? – va a sfidare l’altra grande decaduta, l’Australia.

Nella foto di apertura (WRU) la formazione del Galles che batté la Francia a Parigi conquistando il Grande Slam nel 1971, da sinistra, in piedi: Arthur Lewis, Delme Thomas, Denzil Williams, Mervyn Davies, Mike Roberts, Barry Llewlleyn, Dai Morris. Accosciati: Barry John, John Bevan, Jeff Young, JPR Williams, John Taylor, John Dawes (capitano), Gerald Davies,, Gareth Edwards

 

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