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Nel rugby a XV femminile italiano il ruolo di apripista lo ha avuto indiscutibilmente, a partire dalla fine degli anni Settanta, un gruppo di pioniere della della Marca Trevigiana. Stiamo parlando delle Red Panthers, di cui, grazie alle testimonianze di alcune protagoniste, vogliamo ricordare l’epoca iniziale.

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Siamo perciò pronti ad ascoltare, in una piacevole “tavola ovale”, i racconti di sport e di vita di Bruna Collodo, Marta “Wally” Breda e Antonella Rossetti (di qui in avanti, rispettivamente BC, MWB e AR).

Una scelta controcorrente, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80: ma chi ve l’ha fatto fare (in senso buono)?

BC:Fu una cosa casuale, intorno al 1978, a diciassette anni. Per me fu naturale, erano giocatori mio fratello Tiziano (terza linea di Conegliano, San Donà e Villorba, prematuramente scomparso nel 2019, n.d.r.) e mio cugino Oscar (mediano d’apertura di Metalcrom, Benetton e Petrarca e della Nazionale nel primo mondiale 1987, n.d.r.). I nostri vicini di casa erano i Peron (il capofamiglia Sandor fu pilone del primo scudetto arrivato nella Marca, quello targato Faema del 1956, n.d.r.). Ho cominciato a lavorare molto presto come parrucchiera; io e Mansueta (Palla, n.d.r.) eravamo colleghe e il nostro principale, quando c’erano le trasferte, ci concedeva di assentarci dal lavoro in modo alternato. Nel gruppo iniziale c’erano Jolanda “Jole” Baratto, Michela Marchetto (sorella di Manrico), Lucia Tavano, Antonella e Valentina Napolitano, Titta Peron. Ci si allenava, guidate da Roberto Marchetto (solo omonimo degli altri), nel parcheggio del cimitero, accanto al campo Milani della Metalcrom, i cui giocatori ci prendevano in giro. Fu molto difficile venire accettate, a un certo punto Giorgio Fantin- allora membro del Comitato regionale, che divenne poi il nostro allenatore-, disse come provocazione che con la mia faccia da maschietto sarebbe stato più semplice farmi tesserare come componente della squadra maschile, per dire quanti ostacoli abbiamo dovuto superare. Poi pian piano il gruppo si rinforzò con nuove arrivate, tra cui Adelina Corbanese. Ricordo che quando si cominciò a sentir dire da qualcuno “Anche io conosco una ragazza che gioca a rugby” capii che il muro era crollato, noi ragazze avevamo conquistato la legittimazione”.

MWB: “A Treviso c’erano società rugbistiche consolidate a livello maschile, in città e nei paesi limitrofi. Io sono arrivata da ‘paesana’ tra le cittadine, venendo da Villorba dove vivevo in aperta campagna. Lì già c’era una squadra maschile, alcuni erano fratelli di amiche, uno il moroso di mia sorella. Pur se fui reclutata ‘spintoneamente’ nel 1983, Treviso fu per me una conquista, arrivai e divenni pilone, per scelta. Fui subito accettata in un gruppo di ragazze che si stimavano reciprocamente, e continuano a farlo dopo tanto tempo, con un’amicizia salda e sincera”.

AR: Diversamente dalle altre compagne, io non avevo rugbisti in famiglia. Mia mamma però mi ha sempre stimolato a fare attività fisica. Prima di allora avevo praticato la canoa fluviale, andavo anche in trasferta in treno da sola, cosa abbastanza anomala allora. Devo dire che i miei genitori erano entrambi di mentalità avanzata rispetto ai loro tempi. Il primo placcaggio mi venne naturale. Ero forte, ma poco veloce. Del rugby attirava anche la possibilità di viaggiare per motivi agonistici. Nessun insegnante a scuola si meravigliò della nostra scelta, qui a Treviso il rugby è parte della cultura locale”.

La formazione delle Red Panthers alla prima partita disputata, a Lancenigo, il 4 aprile 1980. In piedi, da sinistra: Giorgio Fantin, allenatore, Francesca Vecchiato, Nicoletta Latino, Manuela Torresan, Iolanda Baratto, Lorena Scomparin, Francesca De Vidi,Antonella Napolitano, Michela Marchetto. Inginocchiate, da sinistra: Patrizia Peron, Bruna Collodo, Lucia Tavano, Monica Mansueta Palla, Norma Zanatta, Valentina Napolitano.

Come nacquero le Red Panthers?

BC: Alla fine dell’epoca dello sponsor Metalcrom, la famiglia Benetton acquisì la proprietà della squadra. Il primo simbolo sulle maglie delle squadre maschili era il ‘folpetto’, marchio storico dell’azienda tessile. Successivamente il polpo fu sostituito dal più aggressivo leone. Noi facemmo una riunione ‘carbonara’, di domenica pomeriggio, nel garage di casa di Iolanda Baratto. Con spirito provocatorio scegliemmo una felina, e così la pantera divenne il nostro simbolo. Siccome furono i ragazzi del Tarvisium, nostri coetanei, quelli che mostrarono più apertura nei nostri confronti, copiammo il loro rosso come nostro colore sociale. Così nacquero le Red Panthers. Sino ad allora utilizzavamo maglie rimediaticce, scampoli dei tornei giovanili dei maschi. La prima divisa ufficiale era rossa con banda verde, a richiamare il colore Benetton. Susanna Ferraro faceva la commessa in un negozio di abbigliamento, e aveva molto senso estetico; fu lei a spingerci ad avere una nostra divisa”.

AR: “Eravamo ospiti del Benetton, ma da figlie di un dio minore. Basti dire che la sera spegnevano i riflettori, le aree di meta restavano al buio. L’avvento al vertice del presidente Arrigo Manavello – il principale, anzi unico finanziatore della nostra storia – fu la svolta. Grazie a lui, all’inizio degli anni Ottanta, passammo dal campo di Lancenigo (frazione di Villorba, n.d.r.) alla Ghirada, venendo finalmente pienamente accolte nella società. Il notaio Manavello spendeva di tasca sua per finanziarci, in parte perché credeva in noi e in parte perché forse non aveva cuore di abbandonarci. Su suo impulso nacque il Torneo Città di Treviso, una due giorni che richiese grande impegno organizzativo”.

A quali modelli vi siete ispirate?

AR: “Non ne avevamo, e non ne abbiamo avuto bisogno. Ci siamo semplicemente appassionate a uno sport che impegna assieme fisico e intelligenza, obbligando 15 persone a ragionare in modo congiunto, per diventare un sistema e raggiungere l’obiettivo comune”..

Che cosa resta, in eterno, dell’essere stata una pioniera del rugby italiano?

BC: “Quando ho smesso di giocare in Nazionale ho sofferto molto la separazione, la malinconia si è trasformata in rifiuto e ho smesso finanche di seguire lo sport. Pensare che, da una cosa nata per caso, senza capo né coda, sia nato un movimento, e che dopo di noi tutto sia continuato e cresciuto, è qualcosa che mi inorgoglisce. Mi piace pensare che i livelli a cui la Nazionale femminile è giunta oggi abbiano radici in quello che abbiamo iniziato 40 anni fa. Ripeto, non è il nostro passato individuale la cosa importante, ma la consapevolezza che da lì sia derivato il presente e il futuro del rugby femminile italiano”.

AR: “Il rugby è stato la mia vita, non è stato facile distaccarmene. Resta che tra noi siamo amiche inseparabili, facciamo assieme dei viaggi e condividiamo una unione forte, difficile da capire per chi non ha vissuto la nostra esperienza. Una realtà che oggi non è ripetibile. Allora aprimmo una porta nuova, un’opportunità che pareva inconcepibile a livello femminile. Resta l’orgoglio di esserci stata, come giocatrice prima e allenatrice poi: le Red Panthers hanno rischiato seriamente di sparire, in tre o quattro momenti storici, sono sempre tornata a lottare perché questo non accadesse”.

Bruna Collodo – Centro, è nata a Treviso nel 1962, fin da ragazza ha lavorato in un salone di parrucchiere e tuttora esercita la professione. A lei spetta il record della prima storica meta segnata nel rugby femminile, nel 1980 a Villorba contro il Cis Milano.

Marta “Wally” Breda – Pilone, è nata a Villorba (TV) nel 1962. Ha lavorato a lungo come addetta alla fotocomposizione di libri e riviste in un’azienda il cui titolare giocava con gli Old della Tarvisium. Conseguita l’abilitazione, ha insegnato in centri di formazione professionale e scuole statali a indirizzo tecnico, sino al recente pensionamento.

Antonella Rossetti – Terza linea, è nata a Treviso nel 1962. Ha iniziato a lavorare nella ditta di trasporti di suo padre, poi è stata ausiliaria alll’Ospedale cittadino; attualmente è dipendente di un maglificio di alta moda. È stata a lungo capitana della Nazionale. Ventidue scudetti vinti, di cui otto da allenatrice. In questo ruolo, per 10 anni, ha anche seguito i bambini (e le bambine) del Benetton.

Dal numero 186 di Allrugby 

in apertura una formazione delle Red Panthers del 1992. Antonella Rossetti e Marta Breda sono rispettivamente la prima e la sesta fra le ragazze in piedi. Bruna Collodo è la terza da sinistra fra quelle in ginocchio.

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