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“I muri di Roma furono tappezzati da centinaia di grandi posters in cui si stagliava la possente figura di un rugbista in corsa. Era un ordine. Pertanto in tutti i rioni e i quartieri della città sorsero squadre di rugby o presunti tali”. Sono gli anni dei fratelli Mancioli, Ottorino e Corrado, autori di un manifesto pubblicitario per la palla ovale. È il 1934 e non ci si stupisce leggere sotto all’atleta intento in una carica le parole di Achille Starace: “il giuoco del rugby, sport da combattimento, deve essere praticato e largamente diffuso tra la gioventù fascista”. Ebbene sì, il fervore dei primi ruggers, discendenti nientemeno dagli interpreti del romano arpasto, per cui vige la “proibizione di usare palloni di produzione non nazionale” ma anche del termine tackle, a favore di improbabili “ghermite a tuffo” e “arresti alle gambe” si deve al regime e ai suoi slanci sportivi, tra Agonali e Littoriali.

Foto di gruppo per i due Guf di Firenze e Messina (febbraio 1938).

Niente di nuovo viene da dire ma Elvis Lucchese nel suo Pionieri – Le origini del rugby in Italia. 1910-1945 (Piazza Editore, 22 euro) con slancio e cipiglio storiografico mette a fuoco le piccole storie e i personaggi che diedero linfa al movimento ovale, nonostante la presenza ingombrante del calcio e la concorrenza di altre discipline in voga all’epoca. E così si scopre come andarono le cose a Milano, a Roma ma anche Torino, Padova, Napoli, non a caso città universitarie, perché è dagli atenei che provengono i praticanti, prima che gli Enti sportivi inizino a fare la loro parte. E ancora Genova, dove si parla di rugby portuale, di Sicilia, dove un inviato della Fir viene inviato a lavorare contemporaneamente a Palermo, Messina e Catania; o di Puglia, con un’attività embrionale a Taranto che risale al 1929 (!) e poi Bari, per “interessamento allo sport del Comando Federale”.

Molto spazio è dedicato ai Guf (Gruppi universitari fascisti) che sorti un po’ ovunque rendono fattibile organizzare un campionato di prima divisione – e seguitamente una seconda – e che danno il filo da torcere ai pochi club indipendenti (tipo Amatori e Roma), mentre recitano ruoli comprimari i GRF (Gruppi rionali fascisti), i Gruppi sportivi Mussolini o gli stessi Bersaglieri, anche se il XV piumato di Milano battagliò perfino per lo scudetto.

L’Italia, a parte qualche abboccamento con gli inglesi, guarda alla Francia, ai tempi esclusa dal Championship. Così nel 1934, in una rosa che vede due candidati inglesi, un gallese, un sudafricano e un neozelandese, per il ruolo di direttore tecnico federale la spunta Julien Saby, all’epoca conosciuto solo come “brillante trequarti del Grenoble”. Il francese, racconta Lucchese, “in una settimana di lavoro senza un solo giorno di riposo risulta impegnato ad allenare Roma e Salaria lunedì e giovedì, a Napoli mercoledì e venerdì, martedì e sabato altre squadre minori della capitale mentre di sera dalle 21 alle 22.30 tiene un corso di arbitri e istruttori; la domenica mattina conduce un’ulteriore seduta per le squadre minori e al pomeriggio presenzia a una partita di campionato”. Con Saby capofila, arriveranno Michel Boucheron, Jean Brana e Guy Saignes ma anche comparse come René Barnoud, giocatore di entrambi i codici, capace di portare la cenerentola Genova in finale ai Littoriali, o i Toulonnais Marcel Baillette e Auguste Borréani ai Bersaglieri. Gli stessi confronti con squadre straniere sono contro compagini transalpine. Con delle eccezioni ovviamente: Maci Battaglini esordisce contro i tedeschi dell’Hannover in maglia Amatori ed è il sudafricano Pierre Theron (un diplomatico in trasferta) a favorire i due scudetti della Rugby Roma.

I problemi dell’epoca pionieristica sembrano gli stessi di oggi: incrementare i tesserati per alzare il livello, la formazione degli allenatori, le lotte intestine tra club dello stesso territorio, il ruolo dell’Italia a livello internazionale, in termini politici e di risultati. La grande differenza è la presenza della guerra, cui Lucchese dedica la parte conclusiva, raccontando le avventure di quelli del rusbi sui vari fronti del conflitto e, all’indomani dell’8 settembre, delle scelte cui sono stati costretti. Per fortuna in poche pagine si arriva al 1945 e si ritorna a parlare dei Paselli, dei Bellandi, di Umbertone Silvestri, di Cesare Ghezzi e di tutti quelli che fecero l’impresa: ricostruire un movimento autonomo dal paternage del regime per cominciare un nuovo capitolo della sua storia.

Nella foto del titolo:rappresentative militari sudafricane e neozelandesi si sfidano a Rapallo il 10 novembre 1945. 

Qui a fianco un manifesto disegnato nel 1931 dai fratelli Mancioli per promuovere il rugby in Italia 

 

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