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Caro Gonzalo Quesada,

                                   qualche piccolo pensiero, di cui certo Lei non deve tenere conto oggi, appena arrivato, le hanno riservato addirittura un talk show, un “media day”, mica una semplice presentazione, come si usava una volta e come il buon senso avrebbe suggerito dopo un Mondiale salutato dall’Italia così, con 160 punti sulla groppa in due partite. Ma noi siamo italiani e imparerà presto, speriamo, che siamo molto diversi da tutti quelli con i quali ha lavorato prima, da tecnico e da giocatore. Soprattutto non siamo francesi e nemmeno argentini. Se ne accorgerà.  Queste brevi note potranno magari aiutarla, chissà, a rispondere alla domanda che, preso dallo sconforto, un giorno, forse, si troverà a porre a sé stesso e ai sui amici più cari: chi me l’ha fatto fare? “¿Quién me hizo hacer esto?”.

Perché, Lei certamente sa, di non essere il primo che noi accogliamo come “il redentore” “l’uomo dell’ultima spiaggia”, “il salvatore”, prima di lei ci sono stati allenatori con fior di curricula, sia sul campo che fuori: Johnstone, Kirwan, Berbizier, Mallett, Brunel, O’Shea, Catt, Smith, Crowley, campioni del mondo, campioni di Francia come è stato lei, campioni in Inghilterra e nell’emisfero sud.

Tutti, o quasi, accolti all’arrivo come il Messia e salutati all’addio come inutili travet.

Deve sapere, caro Gonzalo, che Lei predicherà rugby in una terra sconsacrata, dove il rugby interessa a pochi, men che meno ai giornali.

E se deciderà di andare a vedere qualche partita di un campionato dalla cui denominazione “Elite” si è fatto ingannare, sulle tribune potrà capitarle di trovare non più di 100 spettatori. Non si impressioni. Toccherà a Lei provare a portare questo sport fuori dai suoi confini attuali, con i fatti, i risultati, per forza, ma anche con un certo stile. Sappia però che il confine è sottile: l’accuseranno di dedicarsi al polo, quando trapelerà la notizia che il suo passatempo preferito sono cavalli e “chukker”, ad altri fu rinfacciato il golf, oppure l’amore per il vino, in qualche caso le troppe parole.

Dovrà sforzarsi di inventare un linguaggio nuovo perché non c’è peggior sordo di chi non vuol capire: e qui di rugby, siamo onesti, pochi capiscono davvero e ancor meno saranno disposti ad ascoltare le sue parole. Questioni di invidia, individualismo, campanile.

Sappia anche che nessuno le darà merito del suo lavoro. Chi l’ha preceduta era stato incastrato nella trappola perfetta: se avesse fatto bene sarebbe stato merito del sistema, se fosse stato un fiasco, come è stato, il merito era di chi aveva capito i suoi limiti e deciso in anticipo di mandarlo via.

Si chiederà perché certi ragazzi, apparentemente bravini, giocano poco, o mai. Si tenga la domanda per sé, quando Crowley lo ha fatto pubblicamente notare, ha firmato con quella sua constatazione la lettera delle proprie dimissioni.

Sarebbe giusto che lei prendesse il comando di tutta la filiera, rapporti con i club, le franchigie, la comunicazione. Ne ha i titoli, ha studiato e parla già bene la nostra lingua. Ma l’anno prossimo ci saranno le elezioni…Ecco: un’altra anomalia italiana: la politica, i rapporti elettorali, condizioneranno, ne tenga conto, le sue azioni.

Sia trasparente, se potrà, onesto e non prometta quello che non può mantenere. Le racconteranno che fra i giornalisti italiani ci sono le “belle gioie” e le “iene”. Non ci creda: i giornalisti sono innanzitutto opportunisti e vanitosi, scrivono per essere letti e scriveranno (bene) di Lei ogni volta che sarà possibile e che il rugby offrirà una bella storia e una buona occasione.

In questi anni ci sono mancate spesso sia l’una che le altre.

E se Lei, come ha confessato, ha sofferto, e molto, guardando l’Italia nelle due partite di Lione, sappia che noi di quelle giornate ne abbiamo vissute più d’una. E nonostante tutti siamo ancora qui, appassionati ma senza illusioni.  Un ultimo avvertimento, non si fidi dei megafoni e dei falsi amiconi. Vada per la sua strada e Allrugby le sarà vicino. In modo critico, ma leale e sincero.

La redazione di Allrugby 

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