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Si sono messi seduti in cerchio per rispondere a una domanda semplice, ma profonda, di quelle che non permettono di nasconderti: che emozioni hai provato dopo la partita? A Italia-Francia, ultimo atto della Poule A della Coppa del mondo, mancano quattro giorni. La formazione è fatta, gli aspetti tecnici sono sul tavolo degli allenatori e nei diagrammi sulle lavagne nella sala riunioni. Ma la cosa più importante è ricostruire la testa di chi ha preso 96 punti in pratica senza lottare, di chi dopo quindici minuti “non c’era più” come ha detto lucido e impietoso con sé stesso e la squadra il capitano Michele Lamaro.

Quindi, eccoci. Che emozioni hai provato? “Impotenza e frustrazione”. Hanno risposto quasi tutti. E già dirlo, già sentire le parole uscire dalla bocca è un bel passo avanti. Certo non tutti hanno usato le stesse parole ma i concetti erano quelli. “Impotenza e frustrazione” davanti a una squadra che forse era stata percepita inconsciamente meno forte, non sottovalutata, ma immaginata più terrena. Forse si era creata nel gruppo, e in ognuno a livello personale, l’immagine di una partita che sarebbe stata durissima ma che si poteva ricondurre su un piano più consono alle nostre aspettative. “Ci si può preparare nel migliore dei modi possibili, poi arriva la verifica della realtà e le cose, spesso, non vanno come ci si aspetta, ci si dovrebbe adattare, se non si fa la situazione si può complicare in modo irreversibile”, dicono coloro che ora devono aiutare a trovare gli strumenti per uscire dalle sabbie mobili. Strumenti mentali, perché sono quelli che hanno ceduto e portato tutti alla catastrofe.

Per ricostruire la fiducia in sé stessi e nel gruppo non si può che ripartire dalle cose positive. La squadra ha molti punti di forza: è coesa, c’è rispetto gli uni degli altri, c’è amicizia, c’è sostegno. Partendo da qui si può analizzare meglio quello che è accaduto in campo e quali sono stati i fattori determinanti e come se ne può uscire. L’impotenza è stata la causa determinante. L’avversario aveva una carica agonistica, fisica e tecnica, molto superiore alla nostra. Ed è stato visibile subito, questo ha rotto nella testa di ognuno le proprie certezze. “Non ci sono scuse, ma ci sono fattori in qualche modo mitiganti”. La durezza degli impatti ha messo fuori uso quasi da subito alcuni giocatori determinanti: Fischetti, colpito dal fuoco amico, una testata di Lorenzo Cannone; Nicotera che subisce un colpo alla testa che gli fa perdere ogni senso di quello che sta accadendo, da qui la ragione del calcio di punizione che porta alla seconda meta. Entrambi salteranno la partita con la Francia.

Poi c’è l’età e l’esperienza dei nostri giocatori rispetto agli avversari. Al momento di scendere in campo gli All Blacks sommavano fra titolari e riserve 1394 presenze (927 quelli schierati dal primo minuto), gli italiani in totale 555 caps (421 i titolari). Poi c’è il fattore età. Quella media dei neozelandesi è 28 anni e 9 mesi, quella degli azzurri 26 anni e 4 mesi. Può sembrare un piccola differenza, ma diventa abissale per i ruoli chiave, sulla linea 2-8-9-10-15, la spina dorsale di ogni squadra, gli All Blacks annoveravano 447 caps (più di tutti i titolari azzurri) e una età media di 31,2 anni, mentre l’Italia contava su 148 caps e un’età media di 24,8 anni.

Più giovani e meno esperti. Non è una scusa, non può esserlo, ma aiuta a capire. “Nel momento in cui le cose si sono messe male si è perso il contatto con i fondamentali e ciascuno si è trovato senza punti di riferimento”, spiega chi guarda i nostri atleti negli occhi e li aiuta a scendere in campo con la Francia con una consapevolezza diversa. “Ciascuno di noi ha una cassetta degli attrezzi da cui può attingere risorse per trovare una soluzione ai problemi che si presentano. E’ fatta dalle routine di allenamento, dalle cose che si sono imparate per affrontare ogni situazione. Bisogna solo fare un passo indietro, non farsi travolgere dal momento, ritrovare un equilibrio mentale, e scegliere lo strumento giusto. Un esempio, ci stanno sovrastando nei punti di incontro. Noi questa situazione l’abbiamo allenata, sappiamo come mettere il corpo, come usare le mani, come difendere vicino. La nostra cassetta degli attrezzi è questa. Dobbiamo solo guardarci dentro. Fermarsi un attimo per farlo. Le soluzioni sono dentro di noi. E lo sapevamo. Contro l’Uruguay, alla fine del primo tempo, da singoli e come squadra, gli azzurri hanno trovato gli strumenti per invertire il senso della partita. Contro gli All Blacks era più difficile, ma si poteva fare. Non vincere, certo, ma lottare fino in fondo”. Con la Francia forse si presenteranno le stesse pressioni e le stesse reazioni, sta agli azzurri ricordarsi della cassetta degli attrezzi.

Nelle foto: gli azzurri cercano di ritrovarsi dopo l’ennesima meta della Nuova Zelanda; la Haka; la meta di Ioane all’ultimo minuto dell’incontro (fonte World Rugby)

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