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Alessandro Izekor ha ricevuto dal URC il premio ,“Tackle Machine”: (foto sotto): con 188 placcaggi, 98% precisione Izekor ha ottenuto la migliore percentuale di placcaggi tra i giocatori che hanno tentato 150 o più placcaggi nel corso della stagione.  Il flanker biancoverde ha fatto meglio di Ruben van Heerden degli Stormers (224 placcaggi, 97% di precisione) e Alex Craig degli Scarlets (199 placcaggi, 96% di precisione).

Questa l’intervista pubblica sul numero 188 di Allrugby, all’indomani del suo esordio in Nazione, contro Inghilterra e Irlanda nel Sei Nazioni.

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Quando giocava a Calvisano, i primi tempi, i compagni di squadra lo chiamavano “Itoje”, l’accostamento era semplice e banale.  E sabato 3 febbraio, all’Olimpico, Alessandro Izekor Maro Itoje se l’è trovato davanti davvero. “Un’emozione incredibile – ha raccontato l’azzurro – il mio idolo di quando ero più giovane, di fronte a me in touche, uno contro uno”.

Ragazzino, Alessandro aveva cominciato a giocare nel Brescia, a 10 anni, dopo un’esperienza con il pallone ovale all’oratorio. “In realtà a quell’epoca preferivo ancora il calcio”. Tifoso nerazzurro sognava di emulare Handanovic. Adesso gli piace di più Lautaro…

Poi la mamma si trasferì a Ospitaletto, nell’hinterland bresciano, e lui cambiò maglia, per tornare al Brescia quando la famiglia fece dietrofront e rientrò in città. “È stato allora che ho cominciato ad appassionarmi davvero al rugby, ho pensato: questo è proprio quello che voglio fare”.

Diploma professionale in ottica (“ho imparato a montare gli occhiali”, spiega), con il trasferimento a Calvisano, in virtù del suo metro e novanta per oltre cento chili divenne uno dei punti di forza della U18. Anche se all’epoca raccontava di capirci poco con le regole: “Mi piace la battaglia intorno ai raggruppamenti, la lotta per la conquista della palla, ma è tutto così complesso -ammetteva – che devi sempre stare molto attento a non fare fallo…”.

Due anni dopo aveva già deciso che il rugby poteva regalargli un’altra dimensione, un’occasione, il talento era ancora acerbo ma quella palla ovale era “un’opportunità che mi può cambiare la vita – dichiarava – magari un giorno anche all’estero… Io penso al rugby da quando mi alzo la mattina a quando vado a letto la sera…”.

E spiegava: fisico e velocità li ho sempre avuti, ma non sapevo come sfruttarli, in che contesto metterli. È facile se giochi con gente più piccola di te, ma quando anche gli altri sono grandi e grossi il fisico da solo non basta più. Quando mi hanno convocato con la Nazionale U20 non avevo le basi, gli altri venivano dall’accademia, erano stati nei centri di formazione, avevano un vissuto agonistico molto diverso dal mio, io ero un pesce fuor d’acqua, chiunque se ne accorgeva, anche uno spettatore che non sapeva tanto di rugby capiva che mancava tutto”. Più onesti di così si muore.

A Calvisano Gianluca Guidi lo spronava: “a modo suo, con i suoi metodi anche lui mi ha fatto crescere – osserva -. Mi diceva: “più merda mandi giù oggi, più ti abitui e farai meno fatica in futuro. Ma lo ammetto è stata dura”.

Poi Treviso, l’alto livello, dove Marco Bortolami la scorsa estate si è dedicato molto a lui, aiutandolo nella cura dei dettagli, nella comprensione del gioco.

Al Benetton il ragazzo spensierato di una volta ha compreso l’etica del duro lavoro. Cosi che oggi può dire: “la velocità, quella me l’ha data madre natura – dice – ma il fisico per stare alla pari di quelli che giocano a così alto livello l’ho costruito da me con tanti sacrifici. Mi allenavo quando gli amici uscivano e andavano a divertirsi. Io in questo gioco ci credevo e al piccolo Alessandro di allora oggi direi: hai visto, facevi bene a impegnarti, adesso è arrivato il tuo momento…”.

Le distrazioni in un tempo, quando in campo sembrava cercare il suo centro di gravità permanente oggi, spiega, sono pause per anticipare i tempi: “cerco di capire cosa succederà per essere al posto giusto prima degli altri”.

Raccontava che quando nel 2019, Massimo Brunello gli disse “cambiati!” per farlo esordire in Top10, a Firenze contro i Medicei, gli brillarono gli occhi e ha pensò “cavolo!”, poi prese fiducia, produsse qualche bella incursione e alla fine Brunello stesso gli fece anche i complimenti, dicendogli che non si aspettava che in così poco tempo fosse pronto per la prima squadra.

Stavolta, per l’esordio in azzurro le sensazioni, non sono state troppo diverse, ma amplificate nei decibel e nelle emozioni.

“Lo ammetto, quando il giovedì, prima di Italia-Inghilterra, mi hanno comunicato che sarei andato in panchina perché Iachizzi non ce la faceva, ho versato una lacrima, anzi un po’ più di una… Poi quando mi hanno detto di entrare ho pensato “è un occasione unica, o la va o la spacca…Ma mi sono detto anche fai le cose semplici, l’ABC del gioco, prova a lasciare un segno solo se puoi, non esagerare non farti prendere la mano, ma se capita il momento, prendilo al volo”.

Le lacrime le aveva versate in albergo, ripensando alla strada percorsa a quando all’allenamento, nelle giovanili del Brescia, ci andava in bicicletta, attraversava mezza città, anche se pioveva. Qualche volte, quando lo superava la macchina di un compagno di squadra, si attaccava al finestrino e si faceva trainare.

All’Aviva, contro l’Irlanda la sua prima in maglia azzurra da titolare. “Certo che quel- lo stadio ti fa effetto, entri, bellissimo, tutto verde, pieno fino all’ultimo posto, due inni e tutti che cantano a squarciagola…”.

In maglia Benetton (foto Benetton RUGBY)

Che differenza fa sapere che giocherai rispetto a andare in panchina?

Cominci a caricarti già̀ due, tre giorni prima. Mentalmente ti prepari, è un’altra dimensione.

Però poi questa carica, questa voglia di spaccare il mondo in campo non si è vista, a Dublino. È mancata aggressività, soprattutto in difesa. A volte viene il dubbio che questa aggressività faccia parte del nostro patrimonio.

Ma no, l’aggressività, il fuoco anche noi ce l’abbiamo, il fatto è che quelli più̀ forti lo sono anche perché hanno la tecnica, gli strumenti per incanalare quella volontà̀, quella rabbia agonistica. Se bastasse volerlo… Essere aggressivi vuol dire anche saper giocare, sennò finisci per girare a vuoto. Contro l’Irlanda non siamo riusciti a fare quello che volevamo.

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