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Era appena stato presentato alla stampa, il nuovo ct azzurro, e sul sito di Allrugby compariva un titolo non passibile di fraintendimenti (leggi qui): “Con Quesada parola alla difesa”

E nell’articolo che seguiva si leggeva questa affermazione, per spiegare quali erano le prime tappe del suo percorso ideale: “Credo che il processo che dovremo affrontare parta dalla base, dai fondamentali. Difesa, conquista, possesso e solo allora lo sviluppo della manovra”.

Non è un caso che la difesa venisse citata per prima, e non è un caso che soprattutto grazie a una splendida difesa l’Italia abbia battuto la Scozia. Scesa all’Olimpico con il ruolo di favorita, decisamente più in partita nel corso della prima mezz’ora (tre mete fatte e una subita) ma poi imbrigliata, scompaginata, confusa da una “trincea” italiana non valicabile. Davvero significativo il fatto che la squadra ospite non ha marcato nemmeno un punto nell’arco di 50 minuti, dal 28’ al 78’. Davanti c’era un muro, rafforzato da exploit individuali e collettivi. Perfino il grande Van der Merwe – trequarti ala pericolosissimo per stazza e velocità, metaman dell’intero torneo – doveva sottostare a una legge che non ammetteva eccezioni, piegandosi al “tackle” congiunto di Capuozzo e Lynagh.

Sulla difesa cominciò a lavorare Georges Coste per costruire l’Italia d’oro degli anni 90. Costruire è il verbo appropriato: perché implica che si parta dalle fondamenta, costituite nel rugby dall’organizzazione difensiva. I numeri di ieri ci dicono che i placcaggi azzurri andati a buon fine sono stati 212 e quelli scozzesi 131: in pratica la nostra difesa è stata molto più impegnata. Una differenza maturata nella ripresa, ma anche i 10 minuti finali del primo tempo avevano dato indicazioni incoraggianti. Sempre secondo le statistiche la percentuale di placcaggi riusciti premia i nostri avversari: 89,73% contro 85,14%. Però, considerando il superlavoro di Lamaro & co., si può comprendere che, a fronte della quantità dei tentativi di placcaggio, l’efficacia complessiva sia stata un po’ inferiore.

Capuozzo (a terra) e Lynagh fermano Van der Merwe lanciato lungo la linea del fallo laterale

La citazione per Lamaro non è dovuta al fatto che lui è il capitano, ma al suo primato di placcaggi nel corso del match: ne ha fatti 26, una cifra da alto livello internazionale, e dietro a lui ci sono altri due azzurri: Vintcent a quota 18 e Ruzza a quota 17. Al quarto posto, con 16 placcaggi, il tallonatore scozzese Turner. Nove in tutto gli italiani in doppia cifra, sei i giocatori britannici.

Inevitabili, nelle cronache della partita, i moltissimi riferimenti agli ultimi due drammatici minuti, alle 24 fasi della Scozia palla in mano. Con l’Italia sempre presente in difesa e sempre attenta a non commettere falli. Un punto fondamentale, quello della disciplina difensiva, evidenziato da un’altra statistica: 12 punizioni concesse dalla Scozia e solo cinque (veramente poche) dall’Italia. Che in seguito ai penalty ha potuto centrare i pali quattro volte (Garbisi 3, Page-Relo 1) contro l’unico calcio firmato da Russell.

E dopo avere parlato tanto di difesa, va detto che questi calci, ma anche la bellezza (per noi) di tre mete hanno contribuito a totalizzare il terzo miglior bottino azzurro nella storia del Sei Nazioni, con 31 punti. Quota 30 era stata raggiunta o superata solo in altre tre occasioni e l’ultima risaliva addirittura al 2007, al 37-17 con cui l’Italia ottenne in Scozia la prima vittoria esterna di sempre nel torneo. Dai fratello Bergamasco ai fratelli Cannone, era ora di aggiornare il dato.

Nella foto di apertura  un placcaggip raddoppiato di Nicotera e Vintcent sul tallonatore scozzese Turner

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