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Ora che la fine è nota, che il Sudafrica ha vinto la sua quarta Coppa del mondo, la seconda di fila dopo quella del 2019, possiamo dircelo: poteva essere la finale più brutta di sempre. Una finale segnata da un cartellino rosso al 33’ del primo tempo con una squadra già penalizzata da un altro giallo e di fatto con un uomo in meno per 63 minuti (45 se si considerano i due gialli presi dai sudafricani). Invece. Invece la squadra in 14 sono gli All Blacks e la partita la perdono di fatto solo al 72’ quando Jordie Barrett non centra i pali da metà campo, calcio un po’ angolato. Anzi cercano di giocarsela fino all’ultimo con attacchi ripetuti ma poco lucidi davanti a una difesa disperata però perfetta.

Poteva essere una partita segnata da strascichi polemici inutili ed è stata un thriller. Con il Sudafrica noioso per un tempo, ma capace di mettere a segno, sempre con Pollard, i quattro calci avuti a disposizione. Costruito il vantaggio (primo tempo chiuso 12-6) si è pensato a difenderlo, in trincea, concedendo all’avversario solo 5 punti. “Alla fine del primo tempo, nello spogliatoio, ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: torneranno all’attacco, che siano uno meno non conta, lo sappiamo”, racconta non smettendo di sorridere Slya Kolisi, capitano degli Springboks. Davanti a lui la coppa splende come i suoi occhi e quelli di Jacques Nianeber, capo degli allenatori sudafricani.

Gli All Blacks non si arrendono conquistano metri su metri. Kolisi si è preso un giallo e per dieci minuti c’è parità numerica, ma i neozelandesi non riescono a passare. O meglio ci riuscirebbero anche, ma la splendida meta di Aaron Smith in tuffo in sostegno a Richie Mo’Unga che sguscia nelle maglie della difesa, viene annullata dopo consultazione del Tmo. C’è stato un piccolo in avanti in touche all’inizio dell’azione. Il capitano sudafricano rientra, e gli All Blacks, tornati in inferiorità numerica, segnano con Bauden Barrett. Peccato che Mo’Unga non riesca a trasformare, sarebbe stata la meta del sorpasso.

“Abbiamo il cuore spezzato – dice Ian Foster, selezionatore neozelandese che lascia il suo compito dopo il mondiale – ma sono orgoglioso di aver avuto il privilegio di far parte di questo gruppo”. Al suo fianco il capitano punito con il rosso ha lo sguardo fisso davanti a sé. I cronisti si sentono quasi in colpa a fargli delle domande. “Non posso dire se il rosso sia giusto o no, ma dovrò vivere con questo peso per tutta la vita”, dice. Ian Foster, quasi a consolarlo, accenna al fatto che bisognerà capire perché un contatto, quello di Cane, è da rosso, e un altro, Kolisi su Ardie Savea, no. “Ma non siamo cattivi perdenti, mi fermo qui. Voglio invece elogiare il Sudafrica perché gioca molto bene, e vincere tre partite di seguito per un punto significa avere la testa per farlo, e le capacità”.

Ecco, gli 80mila dello Stade de France, record di questa Coppa del mondo, erano più per gli All Blacks, ma hanno cantato e ballato alla fine, anche se sotto la pioggia torrenziale. “Hanno ballato anche nel nostro paese – racconta Nianeber – non potete capire la spinta che ci hanno dato, la forza che sentivamo grazie a loro. Abbiamo ricevuto centinaia di foto e video”. Kolisi è un capitano che sarebbe piaciuto a Nelson Mandela. “Nel nostro paese le cose non vanno bene, ma lo sport ci unisce. Ci chiedete quale sia stata la motivazione per arrivare fino in fondo, per vincere. E’ intorno a noi la motivazione, la forza che ci dava sapere che tutti erano al nostro fianco. E le nostre famiglie qui presenti, i venti bambini che giravano per l’albergo”. La famiglia. il Sudafrica che ha bisogno di qualcosa in cui credere. Come 28 anni fa. Sì, Mandela sarebbe felice come allora.

Nelle foto il trionfo del Sudafrica, lo sguardo di Ian Foster alla Coppa persa per un punto, i sudafricani al fischio finale (World Rugby/World Rugby vía Getty Images)

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