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Che bello questo duello a distanza fra i due allenatori della difesa di All Blacks e Italia. Sanno entrambi che il risultato della partita passa dalla loro capacità di fermare l’altro, di obbligare gli avversari a scelte avventate o non in linea con il piano di gioco. “Non farete quello che volete”. Poi si vedrà.

Gli All Blacks si allenano a Lione, a poche centinaia di metri dalla “confluence”, là dove si mischiano le acque del Rodano e della Saona. Intorno parchi, scuole, un palazzetto dello sport, lo stadio del Lione Rugby dove giocheranno, finito il mondiale Page-Relo e Ioane. Intorno al loro campo di allenamento c’è un’alta siepe, dietro la siepe, a rinforzare la privacy, un telo scuro. Si può entrare a vedere l’allenamento solo quando schemi e partitella sono finiti. La paura che qualcuno possa spiare è forte, è sempre stato così, anche in Inghilterra nel 2015, anche in Giappone quattro anni fa.

“Il modo di attaccare dell’Italia – dice Scott McLeod, il guru della difesa neozelandese – ha subito una grande evoluzione. Durante il Sei Nazioni sono stati la squadra che ha fatto uscire più rapidamente il pallone dai punti di incontro, ancora meglio dell’Irlanda. Gli italiani sanno sfruttare questa rapidità con un gioco che conoscono e che fanno molto bene”.

“Lo sappiamo cosa proveranno a fare, quello che tutti hanno cercato di mettere in pratica contro di noi, quello che l’Uruguay ha fatto mettendoci in difficoltà nel primo tempo: rallentarci nei punti di incontro così che la difesa si possa ripiazzare bene. Per noi non sarà facile anche perché loro sanno essere molto fisici, ma…”, risponde l’allenatore della difesa azzurra Marius Goosen. Già, c’è quel “ma” sospeso.

“Gi Azzurri hanno migliorato le proprie abilità sulle linee di passaggio e di corsa, questo costringe i difensori a restare a lungo nella stessa posizione. E quando questo accade – ancora McLeod – sono capaci a ripartire da dietro e giocare l’intervallo con un compagno che arriva in sostegno”. Velocità a far uscire il pallone, imprevedibilità nell’usarlo, dice in sostanza l’allenatore neozelandese. E ancora: “Difendere diventa difficile, serve un amalgama di abilità per capire cosa sta succedendo e, poi, agire rapidamente per impedirlo”.

Mettere dei dubbi alla difesa avversaria, costringere i giocatori a guardarsi attorno. E a spostarsi rapidamente sul campo. “Il loro gioco – dice ancora McLeod – è simile a quello della Francia (che ha battuto gli All Blacks nella prima partita per 27-13 ndr). Partono da un lato, fanno un punto di incontro al centro, e dopo partono con una sventagliata (passaggi o calci) lungo la linea. Abbiamo un piano per fermare questo loro disegno. Abbiamo lavorato duro sui nostri placcaggi, sull’intensità nei punti di incontro, sul come uscire dai punti dalla zona delle ruck. Il secondo uomo che arriva, o il terzo se serve, deve conquistare il pallone o rallentarlo. Perché è questo quello di cui vive l’Italia, quello che le dà fiducia. E noi vogliamo levargliela”.

Una piccola considerazione prima di ridare la parola a Marius Goosen. E’ abbastanza strano, e non è pretattica, credeteci, che gli All Blacks, alla vigilia della partita con l’Italia (che hanno sempre battuto), parlino di come difendere sulle scorribande azzurre, di come chiudere le loro fonti. Pensateci bene, qualcosa, anche se solo nella percezione, magari, è cambiato.

Insomma, Marius, se giochiamo al largo i sostegni dovranno correre come pazzi per evitare che il portatore sia preda della difesa neozelandese, basta mezzo di secondo di ritardo ed ecco il turnover, o nella peggiore delle ipotesi il calcio di punizione. “E noi non ci allonteneremo troppo dai sostegni, difenderemo il pallone giocando più stretti, li attaccheremo più vicino al punto di incontro”. Sorriso.

Anche l’Italia si allena senza mostrarsi all’esterno, i giornalisti italiani però entrano, basta non facciano foto, non filmino i lanci di gioco e le rimesse laterali. In campo è un miscuglio di lingue, molto inglese nelle chiamate di Kieran e Goosen, francese fra Capuozzo, Page-Relo e Allan, ma anche tanto italiano, clima disteso. La formazione è più simile a quella della prima partita con la Namibia che a quella con l’Uruguay. Kieran ha ancora due partite in azzurro, si gioca le sue carte migliori, ora e qui. Faiva e Halafihi guarderanno l’haka da neozelandesi vestiti di azzurro. A casa gli amici tiferanno per loro, certo, ma per la Nuova Zelanda.

Nella foto WorldRugby Scott McLeod allenatore della difesa degli All Black

 

 

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