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Franco Ascantini era “una bella persona, un uomo capace di interpretare il suo ruolo con passione e discrezione, un tecnico innovatore”, per ricordarlo con le parole di Donato Daldoss, seconda linea azzurra che, con lui e Villepreux alla guida dell’Italia, esordì in Nazionale nel 1979 e prese parte ai Giochi del Mediterraneo a Makarska nell’allora Jugoslavia.
Daldoss lo descrive presenza discreta ma fondamentale: “Ascantini sapeva interpretare alla perfezione il ruolo di assistente, sempre presente, mai invadente – dice Daldoss – Nacque lì un rapporto molto stretto, molto bello. Poi rafforzato quando anch’io cominciai ad allenare e lo trovavo ai corsi dove lui era relatore. A Calvisano (1996-1998) introdusse la riunione mensile con i tecnici di tutti i settori. Apparteneva alla scuola francese, ma gli piaceva confrontarsi anche con chi la pensava diversamente. Ha portato metodologie che sono valide tuttora”.
Oggi vogliamo ricordare Franco Ascantini con un articolo che il professore scrisse per Allrugby una decina di anni fa in ricordo di Peppe D’Avanzo, ex giocatore della Partenope e poi grande giornalista di Repubblica.
Poche righe che testimoniano la sua visione del rugby, dell’amicizia, del mondo, la sua capacità di legare il gioco del campo alla vita di tutti giorni.
Lassù Franco Ascantini e Peppe d’Avanzo discuteranno di rugby guardandoci da una nuvola. Li ricordiamo con affetto entrambi.

Un ragazzo ritrovato
di Franco Ascantini
Ho conosciuto Peppe negli anni Settanta, quando vivevo a Benevento e come responsabile tecnico seguivo le giovanili. Ho visto giocare nella Partenope questo giovane molto ben messo fisicamente e deciso. In seguito, come tecnico federale, lo convocai per la nazionale giovanile e lo allenai spesso a Tirrenia. Mi resi conto subito delle sue potenzialità. Le caratteristiche principali erano la capacità di adattarsi alla situazione, di inserirsi nel collettivo, ma nello stesso tempo di esprimersi anche sul piano individuale. E soprattutto la determinazione nell’affrontare e risolvere problemi.
Non seppi più nulla di lui; lo ritrovai sulle pagine di “Repubblica”. Leggendo i suoi articoli ho scoperto che nel suo lavoro di giornalista ha riportato tutte quelle caratteristiche di rugbista. Deciso, tenace, corretto, altruista e sempre pronto ad affrontare i problemi della nostra società. Dopo tanti anni lo rividi ai funerali di Elio Fusco, un mito della Partenope Rugby, protagonista di due scudetti: fu un incontro da amarcord. Dopo quella occasione ci siamo ritrovati su una pista ciclabile di Roma e abbiamo rievocato momenti felici. Ancora una volta mi sono reso conto che la sua non è stata solo passione per il rugby, ma analisi lucida e profonda di uno sport non molto noto in Italia, ma molto diffuso nei paesi anglosassoni. La conferma viene dal suo articolo del 2007 (l’unico letto durante il funerale laico all’Aranciera di San Sisto a Roma, ndr) quando scrisse del rugby come uno dei mezzi possibili perché l’Italia superi i suoi problemi. Gli otto avanti legati fra di loro in un unico sforzo, i trequarti pronti a collaborare, insomma un gioco di squadra, collettivo che permette di sostituire la parola io a quella noi. Il rugby, in altre parole, come componente determinante perché l’italiano diventi migliore.
Grazie Peppe, sarai sempre presente nel mio cuore e in quello di tanti italiani che desiderano una nazione migliore e lottano per realizzarla. Ciao Peppe.

Nella foto, Franco Ascantini con Pierre Villepreux (a destra), alla fine degli anni Settanta, epoca in cui allenavano la Nazionale.

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