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La cosa strana, una generazione fa, nel 1995, non è che fossero tutti dichiaratamente gay, compreso il barone Rob Hayward, deputato Tory, ma che si allenassero a placcare e a fare meta la domenica pomeriggio, un sacrilegio nella millenaria tradizione britannica che incasella nel sabato le attività sportive. Compie ormai trent’anni, insomma, il club londinese Kings Cross Steelers che difenderà a Roma il titolo di campione in carica nell’undicesima Bingham Cup, il campionato del mondo di rugby amatoriale LGBTQIA+ che la Capitale ospita dal 23 al 26 maggio.

All’epoca l’acronimo non era così conosciuto e non era diffusa la rivelazione pubblica delle proprie tendenze sessuali. Non che il rugby non sia sempre stato inclusivo e accogliente, aperto a tutte le classi sociali, ma la storia del Kings Cross Steelers di Londra, il primo club al mondo a fare outing nonché il primo club gay riconosciuto dalla Rugby Football Union e inserito nei campionati agonistici, riporta a un periodo rabbuiato non solo dai pregiudizi di genere (i primi titoli all’epoca dei tabloid inglesi sui Kings oggi farebbero chiudere quei giornali) ma anche da quelli legati all’Aids.

Il barone e deputato conservatore Hayward, decorato dalla regina Elisabetta con l’Ordine dell’impero britannico per il sostegno agli ostaggi britannici nella prima guerra del Golfo, giocatore e arbitro di rugby, nel 1996 diceva: “All’inizio non è stato facile trovare squadre disposte ad affrontare un club ufficialmente composto da omosessuali e che gioca con maglie rosa pallido. Abbiamo scoperto, nel primo periodo seguito alla nascita del club, che i pregiudizi sono presenti anche nel rugby, come se non esistessero giocatori gay nelle squadre”.

Poi però la situazione è cambiata in fretta e nel giro di una stagione, già nel 1996, è arrivata l’affiliazione alla Rfu, le partite ufficiali, i terzi tempi nel pub che sponsorizza il club, resoconti sulla stampa in cui si scriveva di mete e non di tendenze sessuali.

Una situazione che ha gemmato altri club di rugbisti gay o aperti ai gay nel solo in Gran Bretagna, ma in tutto il mondo. Storico l’annuncio dei “Kings” per il reclutamento di “giocatori, allenatori e sostenitori di ogni livello” che nella seconda metà degli anni Novanta cominciò ad apparire ogni mese sul magazine inglese a diffusione mondiale “Rugby World”: la prima campagna per il rugby inclusivo.

E arriviamo alla Bingham Cup, allestita in quello scenario favorito dalle gesta dei Kings Cross Steelers. Mark Bingham, giocatore e fondatore dei primi club americani aperti ai gay (San Francisco Fog e Gotham Knights New York), aveva 31 anni quando guidò la rivolta dei 33 passeggeri e dell’equipaggio sul volo United 93 l’11 settembre 2001 facendolo schiantare al suolo in Pennsylvania. Dei quattro velivoli dirottati quel giorno fu l’unico a non colpire l’obbiettivo stabilito dei terroristi che forse facevano rotta per la Casa Bianca.

E già nel 2002 negli Stati Uniti veniva organizzata la prima coppa del mondo per club gay a lui dedicata. Di biennio in biennio ecco il campionato sbarcare in forze a Roma: 3.500 atleti di oltre 100 squadre di quattro continenti con – novità di questa XI edizione – squadre che includono anche persone in transizione che al momento non possono giocare nei campionati di World Rugby, la federazione internazionale.

Un’inclusione che rende orgogliosi gli organizzatori romani della Bingham Cup fra i quali Gianmarco Forcella, presidente del comitato organizzatore della manifestazione che ha il patrocinio della Federazione italiana rugby, della Croce Rossa, del circolo Mario Mieli, della Regione Lazio, del Comune di Roma, del Coni e di Sport e Salute, e il sostegno di sponsor quali Eni, Aussiebum (abbigliamento), Peroni, Pelliconi (gigante mondiale dell’imbottigliamento bevande) e Siav (software).

Il peso dell’imponente allestimento è sulle spalle di Libera Rugby, il club romano allenato anche da Valerio Amodeo, che da oltre 10 anni è in campo per placcare i pregiudizi: sono di Libera alcune delle campagne più riuscite per sostenere il movimento LGBTQIA+.   

La cerimonia di inaugurazione, dopo la presentazione in Campidoglio del 17 maggio (giornata che Onu e Ue hanno dedicato alla lotta all’omofobia), sarà il 22 maggio alle 19.30 a Roma al PalaTiziano, le partite dal 23 al 26 maggio su  questi campi: Stadio delle Tre Fontane (Via delle Tre Fontane 5); Dabliu EUR (Viale Egeo, 98); Rugby Roma Olimpic (Via di Tor Pagnotta, 351; Stadio Alfredo Berra (Via Giuseppe Veratti); Stadio del rugby di Corviale (Via Degli Alagno, 37); Polisportiva Ostiense (Lungotevere Dante, 3).

«Roma Capitale è orgogliosa di sostenere la Bingham Cup – ha detto il sindaco Roberto Gualtieri – Attraverso il Rugby, uno sport che ha in lealtà e rispetto i suoi valori fondanti, la nostra città vivrà 4 giorni all’insegna dell’inclusività per fare sempre più di Roma una capitale di tutti e tutte».

Peccato che l’Italia sia uno dei nove paesi che a Bruxelles non hanno firmato la dichiarazione per la promozione delle politiche europee a favore delle comunità Lgbtiq+ presentata dalla presidenza di turno belga ai Paesi membri dell’Ue. A non firmare la dichiarazione sono stati Italia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. La dichiarazione era stata preparata in occasione della Giornata Mondiale contro l’Omofobia, la Transfobia e la Bifobia.

La conferenza stampa di presentazione dell’evento presso la sala della  “Protomoteca” del Campidoglio, da sinistra Paolo Giuntarelli – Direttore regionale degli Affari della Presidenza, Turismo, Audiovisivo e Sport della Regione Lazio
Alessandro Onorato , Assessore allo Sport, Turismo, Moda e Grandi Eventi di Roma Capitale
Antonio Parrilla, Funzionario del Servizio Comunicazione, Affari internazionali, Studi e Ricerche del Dipartimento dello Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Gianmarco Forcella , Presidente del Comitato Organizzatore della Bingham Cup

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