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Antonio Rizzi era arrivato alle Zebre a ventidue anni, nell’estate del 2020: tante speranze e sogni da realizzare. A quattro anni di distanza lascia la franchigia federale e ai tanti che avevano puntato su di lui resta un senso di incompiuto.

Questa è l’intervista che aveva concesso a Federico Meda al suo arrivo nella città ducale e pubblicata sul numero 148 di Allrugby, a maggio del 2020

“L’ho rivista cento volte quella partita. E l’azione del drop anche di più. Pagherei oro per giocare diversamente quell’azione”. È il 4 di maggio 2019, il Benetton è a Limerick, Thomond Park. È la prima volta di un’italiana alla fase finale del Pro14. Giornata splendida, arbitra Nigel Owens e a quattro minuti dal termine il Munster è in vantaggio 15-13. Si cerca il drop e l’incaricato è Antonio Rizzi, entrato al posto di Tommaso Allan. Il drop va largo e addio sogni di gloria: “Era troppo affrettato. Dovevamo chiudere di più la difesa. Quando ho ricevuto l’ovale da Tebaldi sapevo già che non avrei centrato i pali. Chissà, con più esperienza magari avrei fintato, a volte ci penso e mi convinco si sarebbe potuto persino andare in meta”. Ad Antonio è caduto il mondo addosso, dopo quel drop. Un ragazzo predestinato: un “Topolino” conquistato a sorpresa con il Leonorso Udine, lui MVP del torneo riceve il trofeo dalle mani di Franco Smith, all’epoca coach dei biancoverdi. Uno scudetto con Mogliano in giovanile, un titolo di campione d’Italia al suo primo anno a Petrarca, il procuratore dall’età di sedici anni. A volte un’attenzione e delle pressioni che lui stesso ha trovato insensate: “mai sofferto le aspettative, altrimenti non sarei qui ora. Però tutti si sentono il diritto di giudicare le mie scelte ed è uno dei motivi per cui non ho più il procuratore: preferisco limitare gli estranei intorno a me. Ora se ne occupa mio padre: non avrà i contatti ma a livello di contratti ci capisce”.

Con la maglia delle Zebre contro il Leinster.a ottobre del 2020. Di fronte a lui Ciaran Frawley (foto Zebre Parma)

Il biennio a Treviso è stato altalenante, per risultati e minutaggio ma guai a considerarlo un passaggio a vuoto della carriera: “per me sono state due stagioni realmente formative, arrivo a Parma più maturo e con un allenatore come Michael Bradley che crede in me”. Non che Crowley non lo facesse ma con l’arrivo di Ian Keatley la gerarchia a numero 10 è un po’ cambiata. “A guardare indietro sono stato fortunato: l’anno scorso avevo giocato con Leinster facendo fatica. Poi ho avuto l’occasione contro Dragons e l’ho colta al volo. Il turn over era massiccio e ne ho approfittato. Quest’anno, con la squadra in difficoltà alle prime uscite, si è cambiata mentalità e alcuni di noi non hanno visto il campo per quasi due mesi. Io venivo buttato in campo per trovare il guizzo, magari risolvere la partita ma come puoi ritrovarti a tuo agio dopo così tanto tempo? Anche perché in settimana dai tutto, proprio tutto per avere una chance e finire in panchina ogni volta è durissima”. Torniamo al drop dello scorso maggio: avrebbe cambiato tutto? “Forse sì ma se torno indietro al post partita ricordo solo messaggi positivi. Mi fermavano in città, facendomi i complimenti. Ian McKinley mi spiegava che un giorno Sexton sbagliò 7 calci di fila in una partita, l’ultimo no e si rivelò decisivo. Ero riuscito a convincermi che errori di questo genere fanno parte della carriera di un giocatore e che alla prossima occasione sarà più forte”. Non sarà certamente in biancoverde: durante il raduno per il Sei Nazioni, Andrea De Rossi lo ha chiamato con la proposta di traslocare a Parma. Presa al volo, senza pensarci troppo: “a parte qualche offerta misera dall’estero, non in campionati di prima grandezza, non avevo in mano niente. Le Zebre erano il massimo: rimanere in Italia, ritrovare tanti amici e compagni delle giovanili e avere una chance per rilanciarmi”. Antonio apprezza il rugby italiano, nonostante i difetti che ci contraddistinguono: le Accademie gli hanno giovato, come la trafila nelle nazionali e anche il passaggio a Padova – al netto di qualche problema con la società – è stato importante per avere le carte in tavola una volta a Treviso. Certo, alcune migliorie andrebbero apportate: “Facciamo fatica ad aspettare i giovani, anche dopo tutti gli investimenti e il tempo speso negli anni di formazione. Quando sei in Accademia sei seguito in tutto, poi ti lasciano al tuo destino. Dobbiamo fare come in Inghilterra o le altre del Pro14: in Coppa giocano le prime scelte, in campionato le promesse. Bisogna fidarsi di più di noi italiani perché il problema si registra nel passaggio da giovanile a seniores: prima, in U20, a parte la Francia e la Nuova Zelanda, ce la giochiamo con tutti, Australia compresa. Io ricordo con il mio gruppo di aver battuto l’Argentina due volte, il Galles e la Scozia idem. La direzione è giusta”.

A livello caratteriale, Rizzi tradisce il suo essere friulano: poche parole ma soppesate. È uno concreto, con le idee chiare. Laurea in Economia entro due anni, ad esempio (“‘all’inizio solo una richiesta dei miei, ora ho capito”). O casa da solo anche a Parma, “perché non è New York e se vuoi andare da qualcuno esci e vai”. Stima Dan Biggar, perché “è imprevedibile e ha tutto: piede, mani, tecnica”. E odia giocare a Connacht: “vento parallelo al terreno, condizioni atmosferiche che cambiano in cinque minuti, spettatori in piedi e vicinissimi al campo. Vai lì pensando che puoi vincere ma sono due volte che torno in Italia con 40 punti”.

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Antonio Rizzi è nato a Trieste il 5 gennaio del 1998. Nel 2018 ha vinto lo scudetto con il Petrarca e a settembre dello stesso anno ha debuttato in PRO14 con la maglia del Treviso, con cui ha disputato complessivamente una ventina di partite, comprese quelle nelle coppe europee.

Con la Nazionale U20 ha preso parte a ben tre edizioni del Sei Nazioni di categoria (2016-2018) e a due Mondiali (2017 e 2018). Con le Zebre 38 presenze e 171 punti nel corso delle ultime cinque stagioni.

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