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Sergio Parisse compirà 40 anni il prossimo 12 settembre. Tre giorni prima l’Italia avrà fatto il suo esordio nella Coppa del Mondo 2023, contro la Namibia a St. Etienne.
Quale occasione migliore per celebrare un giocatore che con l’Italia ha debuttato in azzurro oltre vent’anni fa. E che tra una settimana guiderà il Tolone nell’ennesima finale europea, contro i Glasgow Warriors a Dublino in Challenge Cup.
“Beh, penso che sarebbe una cosa grandiosa, per me, giocare il sesto Mondiale. Giocarlo con la maglia del mio Paese in quella che ormai è casa mia, la Francia, davanti a tifosi che mi conoscono bene, non solo quelli francesi. Sarebbe fantastico e permettetemi di dire che non lo sarebbe solo per me personalmente. Sarebbe un momento di prestigio per tutto il rugby italiano, per la nostra storia come movimento ovale e non solo, visto che 6 mondiali è un traguardo che nessun atleta al mondo ha mai raggiunto finora”
Quindi tutto a posto, appuntamento alla RWC a settembre?
“Ecco, su questo ho qualche dubbio…ho la sensazione che non tutti siano d’accordo sulla mia presenza in squadra. La prossima settimana, credo, verrà diramato il primo elenco dei convocati, una quarantina di giocatori, o più, e le voci che mi arrivano non sono troppo rassicuranti”.
Quindi niente “Last dance”, niente passerella d’addio?
“Ecco, su questo voglio essere molto chiaro: ho giocato più di 140 partite con la maglia azzurra, sono stato capitano per più di dieci anni, ma non voglio premi “alla carriera”, né riconoscimenti “alla memoria”. Sono un giocatore di quasi quarant’anni, sì, ma in piena attività e venerdì prossimo, me lo auguro, potrei sollevare la Challenge Cup sul prato dell’Aviva Stadium di Dublino. Voglio pensare che se vengo convocato è per quello che posso ancora dare in campo, non solo per quello che sono stato”.
In linea di massima, nel gruppo del Mondiale, dovrebbero esserci almeno sei terze linee, se non ti chiamassero vorrebbe che in questo momento noi rientri in quel numero, ovvero che in Italia sei la settima/ottava scelta. È possibile?
“Quest’anno, tra coppa e Top14, ho giocato più di mille minuti, 18 partite, 14 da titolare. Credo di aver parlato con i fatti, di aver dimostrato quello che posso fare. Da 22 anni, ho una media di 23 partite per stagione, e a quasi 40 anni finirò ancora una volta molto vicino a quella cifra. Che altro devo dire …”.
Mettiamola così: qualcuno potrebbe considerare la tua presenta un po’ ingombrante sul piano psicologico, in una squadra di ragazzi giovani.
“Io la penso diversamente, penso all’entusiasmo che ho visto nei ragazzi del Treviso quando siamo stati avversari un paio di settimane fa nella semifinale che abbiamo vinto 23-0. Alle cose che mi hanno detto dopo la partita, al fatto che mi vedevano giocare, ahimè, quando loro erano ragazzini e io già un atleta affermato e maturo. Ho visto nei loro occhi entusiasmo e ammirazione e penso agli stimoli, all’esperienza e alla passione che potrei trasmettere loro nei mesi della preparazione alla Coppa del Mondo da vivere insieme. Sarebbe un vero peccato privare questo gruppo di un apporto così. Capisco che chiamarmi sarebbe una decisione forte, ma sbaglio o il rugby è uno sport per uomini forti? La mia presenza diminuirebbe le chance di qualificazione dalla squadra in un gruppo con Namibia, Uruguay, Francia e Nuova Zelanda? Davvero che c’è qualcuno che pensa questo?”

Ecco, hai parlato dei lunghi mesi di preparazione. Ma, a quasi quarant’anni, veramente saresti disposto ad accollarti i sacrifici di un’ennesima estate sul campo, a lavorare duro lontano dalla famiglia per un traguardo che hai già tagliato cinque volte nella tua carriera?
“Quando ho detto, e l’ho ripetuto più volte, di essere disponibile, è perché conosco bene il mio fisico e la mia testa. E so di poter affrontare una sfida così. Se avessi dei dubbi, se non ci credessi fino in fondo, se pensassi di non poter reggere una preparazione con la squadra, tutti insieme, avrei detto da tempo che la mia carriera si chiude qui, alla fine di questa stagione di club. Di soddisfazioni ne ho avute abbastanza, gioco a livello internazionale da vent’anni. Non mi servono riconoscimenti ulteriori. Ma penso fortemente di volere dare il mio contributo all’Italia un’altra volta ancora”.
E se non ti chiamassero?
“Penso che sarebbe una cosa difficile da spiegare fuori dall’Italia. A volte ci incagliamo in questioni piccole che non fanno bene alla nostra immagine e a quello che siamo. E non parlo di me, quello che ho fatto e che ancora sto facendo è sotto gli occhi di tutti. Sono in pace con me stesso, ho il supporto degli amici, di una bella famiglia. Ho passato momenti difficili, infortuni, ne sono sempre venuto fuori. Credo che l’Italia tutta si priverebbe di una grande e unica opportunità di entrare nella storia dello sport. Per quanto mi riguarda, controllo quello che posso controllare, e continuo a credere nel destino”.

Questa è un’anticipazione dell’intervista di Gianluca Barca a Sergio Parisse, che verrà pubblicata integralmente nel numero 181 di Allrugby in distribuzione ai primi di giugno, dove Sergio parla dei suoi Mondiali precedenti, dell’Italia di Crowley, di sé e della sua storia. Facciamo il tifo perché ci siano ancora altri capitoli vincenti da raccontare.

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