A colloquio con Marcos Gallorini il pilone che ha messo a segno cinque mete nelle cinque partite del Sei Nazioni U20. Leggi l’intervista di Valerio Vecchiarelli pubblicata sull’ultimo numero di Allrugby.
Quella faccia da bambino buono Hugo Parrou, pilone sinistro della Francia Under 20, la ricorderà a lungo. È durato appena 27 minuti il suo supplizio sul prato di Monigo nel giorno dell’esordio del Sei Nazioni dei giovani, martoriato a ogni mischia da Marcos Francesco Gallorini, 18 anni e 133 chili, il volto nuovo che si infila di diritto nella tradizione delle grandi prime linee italiane. Dopo Ion Neculai, dopo Riccardo Genovese, piloni, sotto con un altro crack, le premesse ci sono tutte per avere il futuro garantito.
In mischia chiusa il piloncino a due piazze si esalta, chiedere al collega dell’under 18 inglese che lo scorso anno fece la stessa fine di Parrou. Ma quello è il lavoro da fare, lo svago arriva quando si può correre palla in mano: “Eh sì – racconta Marcos dalla sua stanza della foresteria del centro Giulio Onesti dell’Acquacetosa – adoro fare il ball carrier, mi fa sentire bene”. Fine dell’attualità, andiamo alla scoperta del futuro: “Sono di Arezzo e il rugby l’ho conosciuto grazie alla scuola, quando alle elementari arrivò Mariella e ci invitò a fare una prova insieme con il settore minirugby del Vasari. Credo che per mamma fu una salvezza: a casa ero un demonio, quei bambini iperattivi che non trovano pace e così lei mi portava a basket, volley, calcio, nuoto, ma non c’era modo per farmi stancare. Se poi consideriamo che quando sono nato pesavo 5 chili e mezzo, credo di averle dato sempre tanto da fare. E invece quando tornavo dal campo di rugby crollavo, avevano trovato un modo per farmi addormentare la sera! Così è iniziato tutto”.
Andiamo avanti: “Devo moltissimo a “Chico” Francesco Roselli, il mio allenatore che dall’U12 all’esordio in prima squadra ha indirizzato il mio percorso tecnico, mi ha seguito e ancora oggi continua a darmi consigli”.
Un passo indietro, perché questo nome esotico? “Mi chiamo Marcos Francesco perché mamma Adelaide del Carmen è dell’Ecuador e nella loro famiglia il doppio nome è d’obbligo. Marcos era mio nonno e della cosa vado fiero. Adoro le tradizioni del Sudamerica, appena posso mi piace entrarci in contatto, vorrei prendere il meglio dalla cultura italiana e da quella ecuadoregna. Un mix stupendo”.
Torniamo sul campo di gioco: “Fisicamente, a scuola, in squadra, sono sempre stato un po’ sovradimensionato e questa cosa, che nella vita di tutti i giorni può essere un po’ fastidiosa, nel rugby si è rivelato un vantaggio. Grazie a un premio che mi hanno dato al Vasari per il mio impegno e a una borsa di studio per essere l’”Orgoglio della Regione Toscana” ho capito che il rugby poteva diventare parte della mia vita. Finito il percorso formativo all’Accademia a Prato ho scelto di continuare a crescere e così sono arrivato a Roma all’Unione Rugby Capitolina. Vivo qui all’Acquacetosa, studio all’Istituto tecnico turistico e quest’anno arriverà il diploma di maturità. Poi di sicuro continuerò a studiare, devo scegliere tra una laurea in una specializzazione turistica, oppure Lingue o Economia, facoltà che sono legate al mio attuale percorso di studi. E parallelamente continuare a crescere come giocatore, di strada ne devo fare ancora tantissima”.
Neculai, Genovese, Rizzoli e adesso Aminu e Gallorini. È un caso che siano anni fiorenti per i piloni italiani?
“Niente avviene per caso. Io e Ion, per esempio, arriviamo dalla stessa formazione, abbiamo avuto la stessa scuola di Carlo Pratichetti e, vi assicuro, è una scuola di eccellenza. Poi adesso ho in Alessandro Castagna un grande maestro, non dobbiamo guardare sempre lontano per cercare buoni tecnici…”.
Nelle due partite di esordio del Sei Nazioni in mischia chiusa è stato dominio assoluto.
“La mischia non è una guerra personale, è un meccanismo collettivo. Però non nego che mettere sotto il mio diretto concorrente sia molto piacevole, ti dà una certa soddisfazione. Io so che devo molto migliorare i miei movimenti in campo, sono un pilone che ama il gioco aperto, ma troppo spesso non mi sposto con intelligenza e allora faccio troppa strada inutile e spreco energie. Però quando da ball carrier prendi il vantaggio è una goduria”.
Questo Sei Nazioni è iniziato con due sconfitte e tanti, troppi, rimpianti.
“Anche quelle sono esperienza e non svelo un segreto se dico che ci hanno scosso a livello personale. Ma l’obiettivo resta sempre lo stesso: vincere e superare a ogni partita i nostri limiti. Siamo una vera squadra e tra noi ci sono delle figure di spicco per carisma e leadership: Odiase, Mey, Passarella, sono l’anello di congiunzione con la grande Nazionale dello scorso anno e interpretano alla perfezione il ruolo. Mi piacerebbe imitare David Odiase, con lui in campo non ti senti mai solo, è davvero l’esempio di quello che chiamiamo squadra”.
Un riferimento, un idolo, un giocatore da imitare: “Sono cresciuto sperando un giorno di diventare come Logovi’i Mulipola, pilone samoano per anni ai Leicester Tigers (cognato di Martin Castrogiovanni e padre di due gemelli, ndr). Mi piace il suo modo di interpretare il gioco aperto. Mi sembrava irraggiungibile, oggi almeno fisicamente – e qui parte una risata travolgente – l’ho raggiunto. Poi Uini Atonio, il francese, è un gigante e in mischia chiusa un maestro”.
A 18 anni non può esserci solo rugby nella vita… “Sono 3 anni che ho intrapreso questo percorso, mi piace e mi soddisfa. Di sicuro, però, non potrebbe esserci un Marcos Gallorini senza musica, una presenza costante nelle mie giornate: rock, classica, pop, adoro Notorius Big, il rap moderno di Nitro, Laza, Izi… poi i documentari o i film su base storica: ultimamente ho visto Niente di nuovo sul fronte occidentale. Bello quasi come una partita di rugby!”.
Nelle foto (David Gibson/Fotosportit), la seconda meta di Gallorini contro la Scozia.