Chi è il nuovo capitano degli Azzurri. Michele Lamaro sognava un 2021 speciale, nel corso del quale ha conquistato la Rainbow Cup con la maglia Benetton e, ora, la fascia di capitano della Nazionale. Ecco come si raccontava a Christian Marchetti nel numero 154 di Allrugby pubblicato poco prima dell’inizio dell’ultimo Sei Nazioni.
Un 2020 che pareva da dimenticare, dopo un 2019 con un brutto infortunio. Invece, a novembre, il ritorno in campo e, subito dopo, il debutto in Nazionale. In attesa dell’anno nuovo per togliersi qualche bella soddisfazione.
di Christian Marchetti
L’alfabeto di Michele Lamaro, per gli amici Mitch, è quello tipico del flanker di belle speranze. Va dalla A di «Alla carica!» alla Z di «Zanne». Quelle da piantare alle caviglie di avversari un po’ troppo vispi nei pressi della linea del vantaggio. Si passa comunque per la B di «Ball carrier», oppure per la O di «Offload». Quando invece a Mitch chiedi di raccontarti gli ultimi due anni della sua pur giovane carriera, fa spesso capolino la T di «Tuttavia». Tipo: «Sì, il mio 2020, Covid a parte, è stato piuttosto particolare. Tuttavia, dopo un terribile 2019 mi dicevo: “Andiamo, cosa potrebbe andare peggio di così?” E invece…». In fin dei conti, lui ci ride su. Un po’ perché, se non puoi permettertelo a ventidue anni, vuol dire che hai proprio la macchina dell’ironia guasta. Un po’ per via di quell’aria “paragula” (citando Pasolini) tipica dei rugby player della Capitale.
Febbraio 2019: lesione del legamento crociato del ginocchio destro nel corso di Petrarca-Viadana. Marzo 2019: Lamaro va sotto i ferri e allora lunga riabilitazione, «nel corso della quale, tuttavia, ho conosciuto Martina. Sai, studia riabilitazione funzionale…». Agosto 2020: infortunio al rientro, durante uno dei due strani derby estivi Benetton-Zebre, per giunta allo stesso ginocchio. Novembre 2020: debutto in Nazionale Maggiore contro la Francia (36-5 per i Bleus) e Michele detto Mitch che diventa l’azzurro numero 696. L’occasione è l’Autumn Nations Cup, manifestazione in cui, tra la gara di Parigi e quella di Llanelli contro il Galles, accumula trentasette minuti di qualità. La promozione del “tuttofare” più atteso, quello nato tra Primavera e Lazio, scudettato ai tempi del Petrarca nel 2018 con tanto di titolo di MVP in saccoccia, infine ufficialmente in maglia biancoverde Benetton dopo la trafila da permit. Numeri e carisma anche in chiave azzurra, con il ruolo da capitano ricoperto nelle Nazionali Under 17, 18 e 20. Quest’ultima la truppa artefice di due storici ottavi posto ai Mondiali, 2017 e (con Lamaro appunto capitano) 2018. Tanto atteso nel gruppo di Franco Smith da spingere Francesco Volpe del Corsport a definirlo “Capitan futuro”. Il Sei Nazioni potrebbe essere la consacrazione? Intanto, la chiacchierata che segue arriva all’indomani del successo “scacciacrisi” – meglio: della scorpacciata – della Benetton in casa dello Stade Français in Challenge Cup. Dunque, placido e rilassato, Michele racconta Mitch.
Dicevamo del 2020. Finisci tu di raccontarlo?
«Challenge a parte, si è chiuso con quella chiamata in Nazionale arrivata in un momento strano. Dopo aver perso altri due mesi per via di quell’infortunio contro le Zebre e un Pro 14 di sole sconfitte prima del bel debutto in coppa. Qualche problema di troppo non ci ha consentito di essere performanti come volevamo. Sono stato felicissimo per la convocazione in Azzurro, tuttavia avrei preferito arrivarci con qualche minuto in più nelle gambe per farmi trovare ancora meglio. È stato un salto nel buio, ero preoccupato per come avrebbe risposto il ginocchio, ma il debutto è stato comunque una bella soddisfazione».
Ok, però hai messo in mezzo un altro “tuttavia”…
«Dal punto di vista personale penso di essere cresciuto, anche solo per un fatto fisiologico [ride]. A questo livello, comunque, impari anche stando fermo».
Per non parlare della reazione al doppio infortunio.
«Quello mi ha insegnato a vedere l’aspetto positivo in ogni occasione che la vita ti presenta. Resistere, saper reagire, è sempre bello, ma mai scontato».
Ti piacciono le definizioni che ti danno?
«Eeeh, da un paio d’anni ne sento tante! Succede quando sei apprezzato, però cerco sempre di non dargli troppo peso. Potrebbero togliere lucidità, in una parola distrarmi. Anche perché sono sia uno stimolo che una responsabilità».
Oggi come oggi, nel tuo ruolo bisogna essere più tecnici o più…?
«Diciamo “ruvido”?»
Andata! (Anche se avevamo in mente qualcosa di più colorito…).
«Purtroppo il mio è l’unico ruolo in cui non può mancare nulla. Ci sono terze linee super-tecniche e altre super-ruvide, ma un aspetto non può precludere l’altro. Se sei troppo tecnico, rischi di perdere troppo in mischia. Se invece metti troppo il fisico, puoi compromettere la disciplina».
Lamaro invece come fa?
«Mi piace lavorare sulla tecnica, ma non sono un gigante, né il più grosso (188 cm per 103 kg, ndr). Sono comunque convinto che più riesco a essere efficace in difesa, più posso crearmi opportunità in attacco».
Giochi a rugby da quando avevi cinque anni. La terza linea è per te una missione?
[Ride]. «Beh, giudicate voi: fino ai sedici sono stato apertura e centro… Da piccolo ero un velocista, poi le fibre muscolari… diciamo che mi hanno un po’ abbandonato. Cesare Marrucci e Francesco Pompili, tecnici delle selezioni regionali U18, mi trovarono un posto in terza linea».
Ringraziamoli, dai.
«Oggi sì. Però che ne sai? [Ride]. Magari da centro avrei potuto dire la mia. Come ho sempre ringraziato mia mamma (la signora Alessia, ndr) per avermi spinto a giocare a rugby. Ecco, però che ne sai? Magari sarei stato un ottimo calciatore e avrei preso meno botte e più soldi. Scherzi a parte, non avevamo rugbisti in famiglia e alla fine abbiamo cominciato a praticarlo sia io che i miei fratelli Pietro, già nazionale U20, e Paolo».
Dicevi della crescita: sei cresciuto anche caratterialmente?
«Uno che chiede tanto a sé stesso, che non accetta l’errore personale. Lo so: in una partita di rugby è praticamente impossibile non sbagliare. Ma, come si dice: sono il primo allenatore di me stesso. Condizione che mi porta a essere molto esigente».
Hai lasciato gli studi in Ingegneria gestionale per quelli in Management dello sport. Come procedono gli studi?
«Direi bene. A luglio dovrei riuscire a laurearmi e al traguardo mancano solo cinque esami (in realtà la laurea a novembre 2021 non è ancora stata formalizzata, ndr). Frequento un’università online e sono contento della mia scelta. Ho sempre voluto studiare Ingegneria, ma laurearsi in quella facoltà senza poter frequentare i corsi è praticamente impossibile».
Resti però nello sport. Cosa porteresti nel rugby della tua formazione?
«Sono convinto da sempre che nel nostro mondo manchi l’esperienza dei giocatori di alto livello alla guida dei giovani. Appunto, mi piacerebbe portare tutto questo. Già ora sto dando una mano ad allenare le giovanili qui a Treviso».
Lì a Treviso. Penserai a Roma ogni tanto…
«Roma è bellissima ed è sempre stata casa mia. Sì, mi manca, ma a Padova sono stato benissimo e a Treviso mi trovo altrettanto bene. Sono città più a misura d’uomo. A Roma vivevo al quartiere Aurelio, zona Via Gregorio VII. Lì la mia famiglia, i miei amici. Non che qui non ne abbia, ma di questi tempi è piuttosto difficile vedere gente».
Quello che stiamo vivendo è un anno importante già prima che cominci davvero. Il gruppo azzurro da consolidare, un Sei Nazioni con tante incognite,… Lamaro nel frattempo?
«Spera di trovare quella continuità che gli è tanto mancata. Dovrò giocare tanto e senza intoppi. In questa fase sono fondamentali coppa e campionato».
Poi Martina, la laurea …
«Già, potrebbe essere un bel 2021. Potrei anche togliermi qualche soddisfazione».