Michele Lamaro è uno dei simboli della stagione 2017/2018: protagonista con il Petrarca in campionato, è il capitano della Nazionale U20 che nel Sei Nazioni ha battuto la Scozia e il Galles e a fine maggio disputerà in Francia il World Rugby U20 Championship. In questa intervista, pubblicata sul numero 124 di Allrugby, si racconta a Valerio Vecchiarelli.
A vent’anni si può essere già leader per grazia ricevuta e Michele Lamaro, capitano dell’U20 azzurra, sembra essere nato con lo scettro del comando. Vincendo a Bari contro la Scozia (con tanto di meta personale) la sua Italia ha chiuso il Torneo come mai prima le era capitato: 2 successi di fila, dopo l’exploit in Galles, prima assoluta nel Principato del rugby, la replica 6 giorni dopo e la sensazione che ci sia una generazione su cui poter investire. Il capitano, a dispetto dell’età, analizza con competenza il Torneo appena andato in archivio: «Un bilancio positivo con una pecca: il calo di concentrazione in Francia è il sintomo che ancora c’è da lavorare per trovare continuità di risultati. La reazione a quella lezione, però, è stata entusiasmante: abbiamo vinto 2 partite con la testa, imponendo il nostro gioco, sapendo gestire l’intensità e dominare le emozioni. Come avevo detto dopo l’impresa in Galles non è un successo o una sconfitta a fare la differenza, a far spostare il barometro verso il tempo bello stabile, ma la continuità di risultati ad alto livello, che non vuol dire necessariamente vincere tutte le partite, ma imporsi sempre e mantenere un alto livello di impatto sul gioco. In chiusura di Sei Nazioni abbiamo dato questo segnale che secondo me è fondamentale. Adesso però si deve continuare, siamo un gruppo competitivo e ora viene il momento più intrigante e complicato: non possiamo tornare ad avere confidenza con l’abitudine alla sconfitta».
A 5 anni Michele già sgambettava sui campi della Primavera insieme con i fratelli Pietro e Paolo, non per dar seguito alla solita tradizione familiare tanto consueta nel pianeta ovale, ma perché «…cercavamo uno sport da praticare e il rugby ci sembrava divertente». Sempre in gialloblu fino all’U16, poi la chiamata nell’Accademia zonale di Ponte Galeria, la leadership che sembra impressa nella sua evoluzione di giocatore, le convocazioni a ripetizione in tutte le nazionali di categoria, sempre con i gradi del capitano, naturalmente. Fino all’esordio in Eccellenza a 18 anni grazie a Daniele Montella, il suo allenatore alla Primavera, che lo porta con sé alla Lazio e quando a malincuore capisce che è arrivato il momento di separarsi sussurra: «La Lazio insieme con Michele perde la sua anima. Ha solo 19 anni, ma è uno che nel rugby moderno potrà fare quel che vuole, imporsi in qualsiasi squadra e in qualsiasi contesto». Parole profetiche nel momento del passaggio al Petrarca, l’impatto sicuro con il campionato e la prospettiva di riportare i veneti a lottare per un sogno tricolore insieme con il timone dell’U20 che se la gioca con tutti e sembra avere la qualità per illuminare il nostro futuro con un tenue raggio di speranza.
Michele Lamaro da Roma è appena all’alba di una carriera tutta da costruire: «Non mi nascondo – spiega con la maturità di chi sa di aver fatto una scelta di vita e non vuole deviare dalla strada tracciata – ma certo che se hai degli obiettivi di alto livello passare attraverso l’esperienza con una franchigia diventa indispensabile. Oggi, però, non è più come qualche anno fa, c’è una generazione che ha sfornato giocatori di qualità e se la competizione può essere un enorme stimolo, nulla è dato per scontato.
E poi, attualmente, in terza linea l’Italia ha prodotto atleti di buone prospettive e la differenza con il passato è che a 20 anni abbiamo già tutti un vissuto di sostanza rugbistica alle spalle: Bianchi, Giammarioli, Negri, Licata, lo stesso Mbandà che è solo all’inizio, non sarà facile trovare posto tra tanta abbondanza. Ma non posso fermarmi qui, l’esperienza a Padova è formativa come giocatore e come uomo, un passaggio di crescita indispensabile, ma attualmente se vuoi raggiungere il massimo, che per me vuol dire entrare in Nazionale e giocare ad alto livello, non puoi fermarti in Eccellenza».
Parliamo allora di questo campionato: è davvero di livello così mediocre? «No, ma è un campionato dove c’è fisicità in abbondanza e si cura molto l’aspetto difensivo, che oltretutto diventa dominante contro attacchi non eccezionali. Ecco che quando prevale la rottura del gioco sulla sua costruzione le partite perdono di spettacolarità e il pubblico non può essere soddisfatto. Ci si dovrebbe confrontare un po’ tutti sull’attacco, sull’impostazione del gioco e non solo sulla sua distruzione».
Bello o brutto il campionato, il Petrarca è nuovamente lì per puntare al bersaglio grosso: «Siamo un’ottima squadra, ma abbiamo qualche problema di concentrazione, ancora non riusciamo a stare sul pezzo con la testa per tutta la partita. Perché quando ci imponiamo mentalmente, come è successo contro Calvisano, se riusciamo a tenere sotto pressione l’avversario, alla fine lo costringiamo a sbagliare. Quella partita l’abbiamo vinta così. Adesso ci saranno i playoff e sarebbe bello arrivarci da secondi, anche se la nostra ambizione passa per il risultato del derby con Rovigo. Per me, che sono un emigrante del rugby, sarà una partita come le altre, ma vedo i miei compagni già entrare in tensione al solo pensiero di giocarla. Il clima del derby è esaltante, però dovremo essere bravi a gestirla di testa».
Dopo la batosta storica rimediata in Francia con l’U20 (12-78), ha guidato l’Italia all’altrettanto storica vittoria in Galles, bissata la settimana successiva contro la Scozia per un doppio successo che mai l’Italia aveva festeggiato nella storia del Sei Nazioni, in questa categoria (nel 2007 gli U21 ottennero pure due vittorie, ndr). Che gruppo siete? «Tecnicamente e per qualità del fitness dicono tra i migliori di sempre. Un grande gruppo, ma i tempi cambiano e questa sicuramente è più forte dell’U20 di cinque anni fa, ma anche gli altri in questo periodo sono cresciuti come o più di noi. Comunque, e i risultati lo dimostrano, il livello degli altri lo abbiamo pareggiato, il gap è colmato e ci giochiamo tutte le partite ad armi pari: In Irlanda abbiamo perso di 4, con Galles e Scozia al Mondiale abbiamo perso di un punto, sempre in Georgia con l’Irlanda abbiamo vinto di 1, adesso il Galles e la Scozia le abbiamo battute nel Sei Nazioni. Ci manca l’abitudine alla vittoria, a volte è come se non volessimo dare continuità alla nostra prestazione. Ecco perché la batosta subita in Francia e la vittoria in Galles le metto sullo stesso piano, in una sorta di risultati schizofrenici che ancora non riusciamo a rendere regolari. E allora in questa ottica la vittoria con la Scozia potrebbe rappresentare un punto di svolta, una presa di coscienza collettiva su cui costruire il domani. Quando vincere non sarà più un episodio, quando con la testa sapremo starci non per una gara e poi dimenticare tutto in quella dopo, ma con continuità, si potrà dire che il lavoro avrà dato i suoi frutti. Siamo un grande gruppo con un difetto di attitudine mentale: è un problema di mancanza di abitudine al successo, perché altrimenti le partite in equilibrio una volta le vinci e una volta le perdi. Invece noi ultimamente le avevamo perse un po’ troppo spesso».
A 20 anni si può sognare: obiettivo Italia e magari un giorno giocare da protagonista il Sei Nazioni dei grandi. Dove deve lavorare Michele Lamaro per arrivare alla meta? «Sono un ottimista e prima mi piace parlare dei miei punti di forza: mi ritengo un giocatore molto difensivo, che si esalta nel placcaggio che è il mio punto di forza, anche se sono molto più tecnico che fisico. Mi piacciono gli angoli di corsa, la ricerca degli spazi da attaccare, ma devo assolutamente migliorare fisicamente perché l’impatto non è una mia eccellenza e nel rugby di oggi se non ti imponi in quella fase di gioco non hai futuro».
Oltre il rugby Michele Lamaro in questa fase vede solo… il rugby: «Occupa il 90% della mia vita, anche se sto cercando di portare avanti gli studi universitari in ingegneria gestionale, con qualche difficoltà a frequentare le lezioni tra Vicenza e Padova. Mi piacciono tutti gli sport, se c’è una partita di calcetto, una sfida in mountain bike o una sciata estrema, io ci sono. Ma non mi chiedete per quale squadra tifo o quali giocatori preferisco, a parte Richie McCaw naturalmente, perché a me piace vivere nel cuore della mischia, non guardarla da fuori…».
Michele Lamaro è nato a Roma il 3 giugno del 1998. Nel Campionato di Eccellenza ha esordito a 18 anni con la maglia della Lazio (ottobre 2016 contro il Calvisano) disputando nel torneo complessivamente 14 partite (3 mete). Ai Mondiali U20 in Georgia, la scorsa estate ha disputato tutte e cinque le partite, quattro da titolare.
Nella foto di Daniele Resini/Fotosportit, la meta di Michele Lamaro contro la Scozia U20 all’ultimo Sei Nazioni.