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Se n’è andato Nando Barbini, aveva 84 anni e in sette anni di carriera internazionale aveva vestito 13 volte la maglia dell’Italia. Trequarti della Rugby Milano, aveva esordito in Nazionale ventunenne, nel maggio del 1953, nella vittoria per 21-3 centrata dagli Azzurri sulla Germania ad Hannover. Capitano nella vittoria per 8-0 sulla Germania nel dicembre 1957 nella sua Milano, aveva indossato la maglia azzurra per l’ultima volta nell’aprile del 1960 a Treviso, nella partita persa per 26-0 contro la Francia.

Qui l’intervista che qualche tempo fa gli aveva fatto Federico Meda, per Allrugby.

Nando Barbini racconta il rugby prima del Sei Nazioni.
Quando Paolo Dari dava il “do” alla Nazionale

Il nome attuale venne dopo, in vista della XVII Olimpiade, quella del 1960. Prima della ristrutturazione, lo stadio che si adagia sotto Monte Mario era ribattezzato “Stadio dei Centomila”, chiaro riferimento alla capienza. Fu inaugurato nel 1953 con un incontro di calcio Italia-Ungheria – all’epoca un partitone. Seguito dall’arrivo di tappa del Giro d’Italia. 0-3 la partita, volata vincente di Giuseppe “Pipaza” Minardi l’epilogo di giornata della corsa rosa. L’anno dopo, nella più tradizionale delle pasque ovali, sfida con la Francia di Jean Prat. Non è solo un test, è anche la finale della Coppa Europa. Cinque giorni prima a Napoli la semifinale: spagnoli regolati con un sonoro 16-6.
Gli Azzurri sono da due settimane impegnati in un collegiale a Cava de’ Tirreni, dove si allenano da mane e sera agli ordini di Maffioli e Saby, coadiuvati dal buon Invernici. Prima e dopo gli allenamenti, abbondanti spuntini a base di mozzarelle di bufala; prima e dopo gli allenamenti, interminabili partite a carte e a biliardo. “Una noia mortale”, ci racconta Nando Barbini, estremo di quell’Italia guidata da Paolo Rosi, ormai al canto del cigno. “Non eravamo abituati a stare così a lungo lontani da casa, non vedevamo l’ora di tornarci. Anche perché, di soldi niente: sarebbero arrivate le solite 1.100 lire di rimborso, tramite assegno. Non bastavano neanche per le cartoline. Poi, da parte mia, anche se piacevole e tranquillo, avevo come compagno di stanza Rosi, fresco vincitore del concorso Rai per radiotelecronisti. Non faceva altro che raccontare partite immaginarie!”.
Il primo a inserirsi
Nando Barbini, milanese, classe 1932, inizia a giocare a rugby “fuori dal Giuriati”, perché l’impianto era ancora requisito dagli alleati. “Mi è subito piaciuto – racconta – e così ho iniziato all’Amatori, in 4a squadra”. Mediano di mischia di quel XV è Cesare Ghezzi, figura storica del rugby meneghino. “Ho fatto quell’anno lì poi, forse per problemi “di lire”, hanno sciolto la squadra e ho iniziato a giocare nell’Anpi. Successivamente Carlo Origoni, presidente del Milano, ha assorbito quella formazione “partigiana” e ho esordito in serie A con la maglia biancorossa, mi pare contro la Ginnastica Torino”. Barbini all’epoca è giovanissimo, ha appena 16 anni e gioca estremo: “Avevo un buon calcio, mi piaceva placcare ma ero famoso perché tra i primi a inserirmi in attacco”. Il 15, fino a quel momento, gioca esclusivamente in difesa, si mette in luce con prese sulle palle alte e rinvii in touche.
Barbini rivoluziona il ruolo e conquista anche la maglia azzurra, a scapito del romano Tartaglini: “i gradi di titolare non li ho guadagnati sul campo ma su un aereo –confessa -. Durante una trasferta Silvano fece impazzire il commissario tecnico Renzo Maffioli. Eravamo su un velivolo della guerra, con le panchine in ferro. Un modello che – diciamo – aveva fama di cadere spesso. Tartaglini si mise a fare il matto, muovendo le sedute a destra e sinistra, al grido “vi faccio morire tutti!”. Maffioli, impaurito e infastidito, non lo convocò più”.
L’esordio in Nazionale ad Hannover con la Germania, maggio 1953: “l’emozione più forte al momento dell’inno, qualche secondo di pelle accapponata”. Poi, pochi giorni dopo, il bis a Bucarest con la Romania. Due trasferte vincenti con formazioni molto “romane”: in campo Paolo Rosi – a segno in entrambi i match – l’apertura Marini, in mischia Sergio Barilari (appena tornato dall’esperienza a Vienna), Riccioni (“aveva dei piedi enormi, da far impressione”, ricorda Barbini) e Dari, seconda linea dal piede buono e cantante lirico: “Gli chiedevamo sempre di “darci il do”, per prenderlo in giro. Poi è finito in Svezia, dove ha trovato un impiego e, immagino, una bionda. E ne abbiamo perse le tracce”.
La Pasqua romana
Un anno dopo, tutti a Roma, all’Olimpico. Prepartita, piuttosto turbolento. La mattina, in albergo, non si trova più Piero Gabrielli. Attimi di panico, anche perché la terza linea della Lazio è titolare. Poi, finalmente, lo si scopre addormentato seduto sul water. La cosa curiosa è che sarà poi lui a segnare la meta dell’Italia a inizio partita. La squadra è in campo con Barbini, Stievano, Rosi, Zanatta, Silvestri, Santopadre, Pisaneschi, Percudani, Lanfranchi, Gabrielli, Riccioni, Dari, Fornari, Mancini, Taveggia. Un XV di grande rispetto che però incontra la Francia reduce dalla prima vittoria al Cinque Nazioni – seppur a pari merito con Galles e Inghilterra – e gioca con Prat (Jean e Maurice), Domenech, Boniface, Albaladejo e compagnia.
“Fu un disastro”, ammette Barbini, “perché arrivavano da tutte le parti, in due, in tre e non sapevo più chi placcare. Trequarti magnifici, quelli transalpini. Uno spettacolo”. La partita finisce 12-39, oltre alla meta in apertura di Gabrielli, segnano Dari al piede (due punizioni) e il grande Lanfranchi, in chiusura.
Non amo i francesi
“Preferisco gli inglesi, più duri ma meno fallosi. I galletti sono sempre stati smaliziati, picchiavano duro. Poi ho il dente avvelenato da un paio di episodi. Il primo risale a una sconfitta a Grenoble: il giorno dopo i francesi scrissero che Barbini era un cattivo giocatore, in tutti i sensi. Solo perché per recuperare la palla su un calcetto a seguire spaccai il naso – involontariamente – al loro tallonatore, mi sembra Escommier. Più che cattivo, ero un duro… In carriera penso di aver dato un cazzotto a un avversario solo una volta, a Napoli, in campionato. C’era un ala, tal Corvino, davvero insopportabile. Sbraitava continuamente. Un vero rompicoglioni. Verso la fine della partita fa un calcio a seguire: io raccolgo con una mano l’ovale e con l’altra gli sferro un pugno. L’arbitro arriva poco dopo, era Marescalchi di Bologna, e mi sussurra “hai fatto bene…””.
“Il secondo episodio relativo ai “cugini” coincide con il mio addio all’azzurro. Avevo già smesso di giocare da qualche mese, nell’autunno del 1959. Ma in occasione del doppio scontro primaverile, con Germania e Francia, ad Hannover e Treviso, decidono di convocarmi di nuovo. Io lusingato accetto ma sono un po’ fuori forma. Con i tedeschi ce la caviamo egregiamente (11-5 per noi), i francesi ci cavano la pelle. Finisce 26-0, per loro. Una disfatta. Approfitto degli impegni milanesi per scappare subito dopo, in preda al magone. Arrivo a Milano tardissimo, disperato”.
Il dopopartita
Barbini smette di giocare (e allenare) a soli 28 anni. Tenta di fare l’arbitro – “mi piaceva, avevo un certo occhio per il gioco” – ma dura poco per via di problemi alla schiena, aiuta Caccia Dominioni per la Selezione lombarda e soffre a vedere i suoi al Giuriati, ormai solo in tribuna. In questo ricorda un po’ la sua mamma: “Come tutte le donne, all’inizio era scettica. Il rugby le pareva violento anche solo nominarlo. Poi però fu folgorata: insieme a mia sorella ci seguiva a Parma, a Padova, ovunque. E al Giuriati guardava la partita dal basso, in cancellata, camminando al seguito di noi in campo”.
Poi per Nando tanta tv, fino alla cerimonia dei cap, l’anno scorso. “Proprio all’Olimpico, come tanti anni fa. Una grande emozione. Tantissima gente. E in campo, guarda la sorte, proprio Italia e Francia. Partita piacevole e che goduria vedere i francesi subire, diciamo che è stata una piccola rivincita dopo tutte le delusioni del passato”.
Un’ultima domanda riguarda le maglie indossate in Nazionale, dato che ora c’è questo bel “cap” da affiancare: “Non ne ho conservata nessuna. Tutte regalate”. A chi? “Donne, solo donne. Le han sempre reclamate, con mio grande stupore”. Per dovere di cronaca i cap in Nazionale di Barbini sono 13, in sette anni. Roba d’altri tempi. (Federico Meda)

Nelle foto, Nando Barbini nel 1957, capitano della Nazionale nel match contro la Germania.

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