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Quant’è cambiato il rugby nell’arco dei 100 numeri di questo magazine? A giudicare dalla selezione di copertine e articoli che qui di seguito ripercorrono i nove anni della nostra storia, non molto. Alcuni temi si ripetono periodicamente, apparentemente sempre uguali: le difficoltà della Nazionale, entusiasmi e delusioni di appassionati e addetti ai lavori per le sconfitte, i problemi della formazione e del reclutamento, sempre all’ordine del giorno, nonostante cresca il numero dei tesserati e aumentino un po’ dappertutto i ragazzini sui campi. Il primo numero di Allrugby uscì che Pierre Berbizier, era il 2007, prometteva di “dare un’identità al rugby italiano. Senza copiare gli altri. Costruire il nostro rugby e verificare attraverso i risultati i progressi compiuti”. Parlava di “spiritù”, non siamo andati lontani.

Mallett prese il posto di Berbizier senza riuscire a cambiare il corso delle cose: “Ho fatto quello che mi è stato chiesto, nell’ambito delle responsabilità che avevo – disse -: allenare la Nazionale, sceglierne il capitano, lo staff, i giocatori, la tattica di gioco. Credo sia l’unico terreno su cui posso essere giudicato. Sul resto non avevo alcun controllo”. Avrebbe voluto essere un generale, se ne andò maledicendo i caporali. Brunel lascerà, convinto che chi si ostina a paragonarci all’Argentina: “non capisce niente di rugby”. Il suo “echilibrio”: una chimera.

Le pagine che leggerete qui di seguito sono la nostra storia e la storia del rugby di questi dieci anni: qualche momento di gloria, qualche giornata molto amara, il terremoto de L’Aquila, le Coppe del Mondo, le incertezze celtiche. Il tutto raccontato da alcune delle firme più importanti dello sport italiano e dalle immagini che talvolta fanno sintesi più delle parole.

Nessun periodico, nessuna rivista dedicata alla palla ovale è durata tanto a lungo e ha raccolto tante opinioni diverse, tante voci, ha rievocato altrettante storie, personaggi e vicende. In mezzo al rumore assordante, frutto ahimè degli strumenti di comunicazione moderna, a volte fa bene fermarsi un po’ a pensare. “Questo nuovo magazine ha l’obiettivo di parlare a tutti, appassionati e non, la lingua universale del rugby e della sua cultura”, scrivemmo nel primo numero.

C’è ancora molto da fare.

Gianluca Barca

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