Il signor Franco, che ci accoglie con modi squisiti nella sua casa di Dorsoduro, rappresenta la memoria del rugby a Venezia. Una memoria di ferro, nonostante i novantatrè anni, al quale affidarsi per il racconto pieno di suggestioni di una vicenda sportiva iniziata nell’immediato dopoguerra. Classe 1932, Franco Nogara c’era al tempo di quei picareschi esordi e la sua vita ha poi attraversato l’intera storia del rugby in laguna, nonchè le trasformazioni della sua singolarissima città lungo tutto il Novecento.

«L’avventura comincia nel 1947 sulla spiaggia del Lido. C’erano dei ragazzi che avevano provato prima della guerra, in testa Enrico Zanetti laureatosi medico a Padova e fra questi anche il primo di noi cinque fratelli. Bruno ha portato Gino e me, il più piccolo, nei tabellini del tempo saremmo stati sempre Nogara I°, Nogara II° e Nogara V°. A Venezia, come nel resto dell’Italia, scarseggiava tutto, ma non la voglia di fare, di stare insieme, di divertirsi. Eravamo giovani che partendo da zero dovevano inventarsi un futuro, trovarsi un lavoro. Noi eravamo orfani di guerra, Bruno aveva passato cinque anni alle armi, Gino era stato ferito a Tobruk. Il gruppo dei rugbisti era fatto di gente un po’ strana, perchè quelli diciamo normali a Venezia giocavano a calcio o a pallacanestro. Riccardo Licata sarebbe diventato un pittore, altri come Rodighiero e Bayer si imbarcarono nelle navi cargo, il velocissimo Ivo Pavone fece successo in Argentina da fumettista come Ugo Prat (foto sotto), che poi si sarebbe firmato “Hugo Pratt”. Non che giocasse, si era fatto appena qualche allenamento, ma era parte della compagnia e molto amico di mio fratello Bruno.

Ricordo un episodio. Eravamo a spasso al Lido, Ugo fu urtato di striscio da una camionetta militare ed ebbe l’idea di buttarsi a terra, fece tutto un teatro fingendo dolori atroci. Il soldato americano alla guida era disperato per le possibili conseguenze disciplinari. Ugo che parlava bene inglese si accordò per mettere a tacere il fatto in cambio di un… indennizzo in contanti. Così quella sera tutti al ristorante. Avevamo pure un bizzarro presidente, Ralph Curtis, un nobile americano, artista, il rugby non sapeva neanche cosa fosse ma ci pagava qualche cena. Insomma, a quel tempo ci si arrangiava anche usando la fantasia».
Il rugby targato Veneziana si struttura rapidamente trovando un suo spazio nel panorama sportivo cittadino. Con lo sponsor Faema e con l’allenatore trevigiano “Francis” Bandiera il club sale in serie B nel 1952 mentre intanto ci si fa le ossa giocando con squadre di marinai britannici. «Ci allenavamo in un campetto di San Nicolò, al Lido vicino all’aeroporto, ma per le partite ci permettevano di usare lo stadio del calcio a Sant’Elena. Toccava ai grossi della mischia, nel giorno della partita, installare e poi togliere i pali da rugby. Per gli allenamenti cambiavamo continuamente campo, c’era il “Guglielmo”, la barca da lavoro dei fratelli Marzi, macellai, che raccoglieva i ragazzi nei vari sestieri e poi la notte ci riportava a casa. Cominciavamo ad avere un nostro pubblico. La squadra aveva messo insieme un po’ di esperienza e c’erano promesse di talento come Ugo Pierato e Riccardo Saetti, il quale con la sua altezza non aveva rivali nelle rimesse laterali. Mio fratello Gino fu chiamato con la Nazionale B. Io intanto avevo cominciato ad insegnare alle medie Morosini e per i miei studenti il rugby era diventata materia obbligatoria».

Mentre le sorti della squadra proseguono fra alterni risultati, mai riscattandosi dalla subalternità alle tre big venete e sempre in lotta per la sopravvivenza economica, per la Venezia ovale emerge il destino di laboratorio di talenti diretti soprattutto a Padova, dove spesso li richiamava l’università. E’ in particolare il Marco Polo, prestigioso liceo classico cittadino, a divenire un efficiente centro di reclutamento. Nel ’57 Riccardo Saetti, futuro medico, sarà il primo giocatore di provenienza lagunare a indossare la maglia della Nazionale, passando dal Petrarca. Ne seguirà il solco il figlio Roberto. Ma a cavallo fra Cinquanta e Sessanta si trovarono a cantare l’inno di Mameli anche altri fioi de Venessia: Andrea D’Alberton, Franco Giugovaz (via Treviso e Roma), gli studenti di Economia a Ca’ Foscari Franco Valier e Angelo Sagramora. E qualche anno dopo Andrea Rinaldo. Per ottenerne il cartellino Memo Geremia “pagò” al Cus Venezia dieci palloni e dieci tute da ginnastica.
Liceali del Marco Polo o del Benedetti, catechizzati al rugby da Franco Nogara. Bravi ragazzi di città, destinati a brillare nelle professioni e a costituire la classe dirigente cittadina, come Giorgio Ceriani, stimato commercialista, Costantino “Cino” Grillo, dirigente del Petrolchimico, Franco Vianello Moro, nell’amministrazione ai tempi delle giunte Cacciari. E Bruno Nogara intanto alimentava la sua figura leggendaria, portando in giro per Venezia teste coronate e capi di Stato; scompare nel 2018, a novantotto anni. Altri a partire da Sagramora troveranno casa nell’ambiente severo del Petrarca, tanto che Valier e Rinaldo del club padovano sarebbero diventati anche presidenti. «A Venezia crescevano sempre più i visitatori stranieri e seguendo l’esempio di mio fratello maggiore cominciai a fare la guida turistica, lasciando l’insegnamento. Sarebbe diventato il mio lavoro per sempre. Gino invece nel 1963 scelse di andare in Belgio, dove riprese con la palla ovale e in seguito allenò a lungo squadre giovanili. Frattanto anche il servizio militare ebbi la fortuna di farlo da atleta, a Napoli con il X Comiliter, segnalato dal capitano Marcello Martone. Quello del rugby era allora un mondo piccolo, ci si conosceva tutti e magari ci si dava una mano nelle cose della vita. Poi c’erano momenti speciali, le sfide internazionali. Mi capitò ad esempio nel ’56, quando Lando Cosi mi invitò a giocare a Padova contro una fortissima selezione di universitari sudafricani. Indimenticabile».

Fra le primissime società italiane ad avvalersi di uno sponsor di maglia, Venezia perde nel ’55 il marchio Faema, che sceglie di abbinarsi al Treviso. I mecenati milanesi riceveranno in cambio, al primo tentativo, un inatteso scudetto. Nell’album di Franco Nogara rimane la foto della squadra ricevuta a San Marco dal patriarca Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII, al quale i rugbisti regalano una macchina da caffè targata appunto Faema. E’ con il marchio Pelv e con il rodigino Piero Stievano in panchina che il sodalizio raggiunge la serie A, complice l’allargamento della massima serie a 29 squadre. A dieci anni dal ritrovo sulla spiaggia del Lido dei pionieri sono rimasti in attività solo Alberti, Civiero, i tre Nogara e Lucio Bayer, il comandante di lungo corso ora rientrato in laguna. Dopo due stagioni nell’eccellenza Venezia darà forfait per dissapori interni dai quali si genera la scissione del Vittadello, dedito al XIII. La prima in una lunga serie di frazionamenti e ricomposizioni societarie che, fino ai tempi recenti, limiterà il rugby lagunare ad un ruolo di comprimario. Il 3 novembre 1968 l’Italia scende in campo a Sant’Elena, sconfiggendo la Germania Ovest, e saranno questi gli ultimi rimbalzi di una palla ovale nell’affascinante stadio circondato dall’acqua.
Nella foto del titolo, Franco Nogara in meta contro il Bologna a Sant’Elena, 1955
