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«Giancarlo Dondi, per gli anni trascorsi con noi da manager e da presidente, era come un papà». Parole di Franco Properzi, pubblicate qualche giorno fa sull’ultimo numero di Allrugby. La Nazionale come centro degli affetti, ancor prima che come veicolo per portare l’Italia del rugby dentro un sogno. Con una disponibilità totale verso i tecnici che si sono succeduti, testimoniata in particolare da Georges Coste, l’uomo che lo ha aiutato più di tutti a conquistare l’accesso al Sei Nazioni. Se quella per gli Azzurri era la passione principale, Dondi – rugbista da una vita – amava il proprio sport in tante delle sue sfaccettature. E aveva le qualità, lo si sa bene, di un abile politico, oltre che di un amministratore oculato. Attentissimo alle finanze, di cui rivelava aspetti preziosi a chi doveva occuparsi anche di questi “aridi” argomenti. Notevoli i suoi ricordi e certe confidenze “off the record” basate sulla fiducia. Era un piacere sentirlo parlare. (Giacomo Bagnasco)

Nel 1977, prima di Zebre vs Newport con il capitano della formazione gallese Colin Smart

Il mio ricordo di Giancarlo Dondi si lega soprattutto alle visite della nazionale a Murrayfield. Vivendo a Edimburgo all’epoca dell’ingresso nel Sei Nazioni sono finito a fare l’interprete alla cena dei committees del venerdì e alle funzioni pre e post-match, ed è lì che posso dire di averlo conosciuto. E’ stato sicuramente il dirigente italiano più rispettato dagli scozzesi. E anche il più invidiato, almeno da quelli che avevano scambiato per sua moglie la figlia Elisabetta che lo accompagnava regolarmente in trasferta (“how lucky is Giancarlo to have such a young and gorgeous wife”, mi è stato detto in più di un’occasione….). Soprattutto però ricorderò un uomo certamente di potere, ma sempre cordiale e rispettoso nelle interazioni con chi aveva un ruolo meno (molto meno) prominente. Non è cosa da poco, soprattutto di questi tempi. (Mario Diani)

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Milano e Parma sono sempre state affratellate. Le accomunava il bel gioco, aperto, alla francese come si usa dire. E pulito. Per questo i giocatori – in anni in cui i Ducali vincevano gli scudetti e Milano era lì a contendersi i primi posti in classifica – erano amici anche fuori dal campo, quando il terzo tempo era più una cosa da postriboli che da pub, più donne e meno birra insomma. Ecco io ho conosciuto due Giancarlo: di persona il Presidente federale, ormai maturo, quello che tenta di portare il Mondiale in Italia e che riesce a portare gli All Blacks a San Siro, quello che contribuisce all’affitto di un alloggio per noi giornalisti in Nuova Zelanda e quello che passa in sala stampa per una parola. E poi, indirettamente, il rugbista, magari non un cuor di leone, di cui mi hanno raccontato i vecchi ruggers milanesi. In anni in cui scegliere il rugby valeva come una medaglia al merito.  (Federico Meda)

La squadra delle Fiiamme Oro campione d’Italia nel 1958; da sinistra in piedi Ricci, Navarrini, Bellinazzo, Sguario, Vanni, Dondi, Giani, Catarinicchia, l’allenatore Mario Battaglini. Accosciati: Erri, Biadene, O. Bettarello, Fronda, Annicchiarico, R. Luise, Maccagnan. (Archivio Allrugby)

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La scomparsa di Giancarlo Dondi è un grande dolore per tutti gli appassionati. Per la qualità del buon giocatore e del grande dirigente che è stato, ma soprattutto per la sua ricchezza umana. Da dirigente ha avuto la grade occasione di trovarsi fra le mani una grande nazionale e traghettarla, fra mille difficoltà e ostacoli, nella sede che meritava: il Sei Nazioni. Ha lanciato le franchigie, intuendo la strada giusta per il futuro del rugby italiano, e spinto le accademie, che negli anni sono state probabilmente il miglior strumento per dare sostegno alle nostre ambizioni.  Il suo unico limite è stato forse quello di pensare che una volta avviato il meccanismo avrebbe funzionato naturalmente, come tutti ha commesso qualche errore di valutazione. Sicuramente avrebbe meritato successori alla sua altezza. Nel cuore di tutti resta la sua simpatia, la sua generosità, la classe del gentleman di vecchio stampo che magari  soffriva per le critiche ma che mai le ha ignorate e ha sempre rispettato l’avversario: sul campo e fuori. (Stefano Semeraro)

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Ricordi alla rinfusa, il rugby italiano prima e dopo Giancarlo Dondi, il Presidente. Mai sono riuscito a chiamarlo in un altro modo. Anno 1993, in Linguadoca durante i Giochi del Mediterraneo è alla ricerca di un sostituto di Mitou Fourcade alla guida della Nazionale. Cambia la storia scegliendo Georges Coste. Maestro di diplomazia, in Galles doma lo sciopero di chi stava forzando i tempi per bussare alla porta di un mondo che mai ci aveva degnato di considerazione. Il Cinque che diventa Sei, un sogno che porta in calce la sua firma. Grazie Presidente, per aver stampato sul nostro passaporto il visto per Twickenham, Arms Park, Lansdowne Road, Murrayfield, luoghi che credevamo proibiti e che invece sono diventati meta dei nostri pellegrinaggi di pura passione. Grazie per l’ironia, per la gentilezza, per averci sempre risposto alle domande anche scomode, magari con giri di parole beffarde, tanto per vedere l’effetto che fa. Con il Presidente se ne va un pezzo della nostra epopea, grazie a lui siamo stati esploratori di luoghi sconosciuti. Grazie, Presidente. (Valerio Vecchiarelli).

Nella foto del titolo, Giancarlo Dondi con Pierre Camou, presidente della federazione francese, prima di Italia-Francia. Alle loro spalle il Trofeo Garibaldi.

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