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Se n’è accorto anche il Guardian: il rugby italiano non arriva sulle prime pagine dei giornali (spesso nemmeno su quelle interne in realtà…).

Della vittoria sulla Namibia nessuna traccia sulla “prima” della Gazzetta dello Sport che titolava: “Italia tutto in salita” ma non si riferiva al primo tempo degli Azzurri a Saint Etienne, bensì all’esordio di Spalletti contro la Macedonia del Nord.

Richiamo di taglio basso per la vittoria dell’Italvolley agli Europei, il resto Vlahovic, Lautaro e Leao. Vabbè.

Meglio il Corriere dello Sport che un angolo per le sette mete alla Namibia l’ha trovato, sia pure a fondo pagine, sotto il titolo “Bagnaia ci stupisce a Misano”.

I giornalisti al seguito della Nazionale di rugby sono sempre meno , si contano sulle dita di una mano e, a rotazione, sono sempre gli stessi da almno 25 anni a questa parte, parecchi c’erano anche prima. Si capisce, mentre all’estero a sessant’anni, al massimo, si va in pensione, in Italia si lavora finché si può.

Ma non è tutto qui.

Il mantra che in questo paese nessuno legge più i giornali ha accompagnato la politica di comunicazione della Fir, nell’ultimo paio di lustri o più. Tutto il potere ai social, Instagram e Tik Tok.

Va bene ci adeguiamo…: eh no!!! Perchè dentro gli stadi della Coppa del Mondo è bandito ogni uso di strumenti tecnologici che permettano di rilanciare commenti e interviste sul web. Siamo alla riedizione del famoso Comma22: siccome nessuno vi legge, datevi ai social, ma i social non sono consentiti, quindi tanto vale stare a casa.

Il Guardian scrive che se non cresceranno le vittorie lo spazio per il rugby in Italia rimarrà quello che è. Nei numeri 179 e 180 di Allrugby, Luciano Ravagnani (Scripta manent 1 e 2) ha ricordato (nomi e cognomi) chi seguiva gli Azzurri quando nemmeno c’era il Sei Nazioni. E le trasferte non erano a Londra, Parigi, Edimburgo e Cape Town, ma a Buzau, Brasov, Braila o Costanza (Romania), Monastir o Menzel Bourghiba (Tunisia), Tarbes, Carcassonne, Chalon sur Saone o Annecy (Francia), Makarska, Spalato (Croazia), Apeldoorn (Olanda), Sochawecz (Polonia), Chisinau e Kiev. Bei tempi, quando scrivere era un merito e la critica un esercizio virtuoso di competenza e conoscenza del gioco.  Dall’articolo del quotidiano inglese  apprendiamo  che per ovviare alla carenza di notizie è stata attivata un’agenzia di pubbliche relazioni incaricata di dare visibilità alle “infinite storie che il movimento rugbistico italiano produce”.  Pasti precotti, notizie preconfezionate, censurate, blog arruolati per dire sempre “signorsì”? Grazie, anche no.

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