Il terzo Sei Nazioni consecutivo senza vittorie da parte degli Azzurri
rilancia analisi e ricostruzioni fantasiose, ricette campate per aria, considerazioni
senza basi sullo stato del rugby italiano. Detto che non ci sono
cure miracolose, alcune osservazioni però si possono fare.
Ho letto che, da quando è entrata nel Sei Nazioni, l’Italia avrebbe sperperato
circa 500 milioni di € senza ottenere risultati. Prendo per buono
quel dato e lo divido per i vent’anni, circa, trascorsi dalla data del nostro
ingresso nel torneo: fanno circa 25 milioni di € a stagione, ossia il budget
di un club di media classifica del Top 14, scegliete voi, il Bordeaux-Begles,
il Castres… come evidenziato dall’articolo di Alessandro Vischi che
trovate in questo numero di Allrugby. In pratica vuol dire che con i soldi
che un club francese spende per un campionato, noi avremmo dovuto
mantenere ogni anno l’intero movimento, dalla Nazionale al minirugby,
compresa l’ordinaria amministrazione. La discussione, vedete bene, potrebbe
chiudersi qui. Quei soldi di cui si parla sono stati spesi al meglio?
Probabilmente no, in alcuni casi forse si sarebbe potuto fare molto di
più. Ma è evidente che l’ordine di grandezze non cambia.
Leggo anche che si sarebbe dovuto investire sui club, anziché sulle franchigie
e la loro difficile gestione. Sono pienamente d’accordo e credo
che la soluzione ideale sarebbe avere un campionato come il Top14 e la
Premiership con dieci Rovigo, Roma, Milano, Padova, Parma, Treviso…
Ci sono? Purtroppo, nemmeno l’ombra, visto che il ritardo di qualche
settimana nel versamento del contributo federale alle società del campionato
di Eccellenza comporta drammatiche difficoltà di cassa. Segno
che in Italia nessuno cammina sulle proprie gambe, nemmeno i più ambiziosi
e più forti. Il rugby moderno, piaccia o no, ormai si costruisce alla
Nasa. Quante Nasa può permettersi il rugby italiano? In Galles ne hanno
costruite quattro (le quattro regioni che partecipano al PRO14), in Irlanda
idem, in Scozia due. Persino in Nuova Zelanda, Australia e Sudafrica
sono state centralizzate le risorse e il sapere (Super Rugby). Le uniche
due nazioni che sono state capaci di mantenere un impianto diverso
sono la Francia e l’Inghilterra. Abbiamo la forza di imitare e replicare
quel modello? A me pare di no. Con quale supporto economico, quali
sponsor, quale copertura televisiva, quali numeri?
Conor O’Shea, che forse non ha l’astuzia tattica di Gatland e di Eddie
Jones, o il feroce agonismo di Joe Schmidt e Hansen, è però sicuramente
un grande manager e un ottimo organizzatore.
Quando è arrivato in Italia ha detto che la prima cosa da fare era mettere
in condizioni i giocatori azzurri e i futuri talenti internazionali di disporre
del meglio per prepararsi e crescere. Perché all’estero fanno così, con
forme di professionismo a noi sconosciute. Possiamo pensare di demandare
questo sforzo ai club? Con quali mezzi, risorse e competenze? Con
un milione ciascuno, ossia quelli che si potrebbero risparmiare smantellando
le Zebre e smettendo di finanziare il Treviso? E per di più ai soli
club di Eccellenza, e agli altri, quelli che fanno che attività e proselitismo
sul territorio? E per fare cosa: mandare in Europa invece che due squadre
con budget comunque inferiori a quelli dei propri avversari (perché
questa è la realtà) dei veri e propri nani, con risorse si è no da un paio
di milioni a stagione? Per giocare contro il Clermont, che da solo mette
insieme oltre 30 milioni di € e fa 17 mila spettatori a partita, ovvero quelli
del Torino o dell’Atalanta, nella serie A di calcio, quando va bene? E in
quali stadi, costruiti da chi, visto lo stato delle Amministrazioni comunali
e delle altre discipline?
Siamo per il confronto utile, appettiamo risposte per aprire un dibattito
dettagliato e sincero.