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Non è stata una bella campagna elettorale, ma nessuna lo è, sia ben chiaro. In campagna elettorale si dicono cose di cui un giorno ci si potrebbe vergognare e si evocano spettri che tutti sanno non essere veri.  Alla convention del Partito Repubblicano, lo scorso luglio, Donald Trump ha descritto l’America come un paese allo sbando, nel caos e in gravissimo declino. Marzio Innocenti ha provato a fare lo stesso con il rugby italiano, aggrappandosi alle cifre di un bilancio federale chiuso da Gavazzi con qualche difficoltà. Che si trattasse per lo più di aspetti tecnico-contabili in politica non conta. Quando si menano le mani si usa quel che si può. A dare sostegno al candidato dell’opposizione ci ha provato dalla Francia anche Diego Dominguez, con una lettera in cui diceva che il momento è “veramente molto delicato per il rugby italiano”. L’ex numero 10 della Nazionale avrebbe potuto scrivere le stesse cose anche del rugby sudafricano, di quello francese e del suo Tolone. Ma si sa, la politica è teatro, commedia, esagerazione.
Qualcun altro ha scritto di un “rugby a pezzi, in cerca di un presidente”. Alfredo Gavazzi non l’ha presa bene e, dopo essere stato riconfermato per il prossimo quadriennio, ha detto che “certa gente non sa nemmeno quanto male ha fatto al rugby italiano, facendolo scadere di immagine, qui ci sono persone disposte a tutto pur di vincere”. Innocenti ha replicato parlando con poco fair play di una vittoria frutto di “metodologie vessatorie e ricattatorie”.
Churchill ammoniva di essere dignitosi nella sconfitta e magnanimi nella vittoria. Noi non siamo inglesi, né sui campi di rugby, né fuori.
Resta da chiedersi se il rugby italiano attraversi veramente una crisi epocale, la peggiore della sua storia.
La risposta non può che essere no, nonostante le difficoltà attuali.
Ci sono stati momenti in cui perdevamo col Portogallo (a Coimbra, nel 1973), altri in cui Sudafrica e Nuova Zelanda ci davano 100 punti. Di perdere malamente è capitato anche ai migliori. E dopo il nostro ingresso nel Sei Nazioni, la vittoria sulla Scozia e le tante celebrazioni, per tre anni abbiamo preso solo schiaffoni, quattordici sconfitte consecutive. Se le ricorda qualcuno?
Per anni abbiamo tappato i nostri buchi con equiparati e argentini e, a scanso di equivoci, va ricordato che, negli anni Novanta, Treviso e Milan sono state due franchigie ante litteram, con giocatori professionisti quando nel resto del mondo non lo erano.
Ma oggi abbiamo i soldi, dice qualcuno: quarantacinque milioni di bilancio federale. Se è per questo l’Inghilterra ne ha cinque volte di più, ma i denari non gli hanno impedito di uscire al primo turno dell’ultimo Mondiale. Bisognerebbe dire anche che Tolosa e Clermont messe insieme ne raccolgono sessanta e che i 14 club del campionato francese superano in totale i 300 milioni di euro.
Tutto questo non toglie che i nostri denari li potremmo spendere meglio, che le nostre accademie potrebbero essere meglio organizzate, i nostri giocatori migliori, le sinergie fra club e Federazione più efficaci, gli allenatori più preparati. Potremmo tutti essere un po’ più bravi, anche la stampa e le televisioni. Cominciando a fare uno sforzo per non comportarci da peggiori. La campagna elettorale è finita. Il rugby è fatto per darsele sul campo, non per continuare a litigare in tribuna.
Gianluca Barca

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