Croke Park tutto esaurito per Leinster-Northampton, semifinale di Champions, 82.300 venduti in 36 ore, più di 2.000 all’ora. Deve essere un record, ma è logico sia stato realizzato: il Leinsterr è dieci, dodici quindicesimi dell’Irlanda, campione del 6 Nazioni con Grande Slam e fuori dalle quattro di Coppa del Mondo, in fondo a quella che è stata definita la partita più bella: 24-28 contro gli All Blacks. Nell’aggettivo “bello” possono abitare molto cose: l’abilità, la lotta, lo spirito, la tattica, la strategia. Croke Park non è uno stadio, è un monumento come l’Arco di Ypres, è lo sterminato sedimento di una storia antica: sangue, orgoglio, anelito alla libertà.
Anni di pellegrinaggio hanno portato chi scrive a Croke Park, Pair an Chròcaigh. Ed è stato grazie a un caso e a un inserviente gentile che siamo finiti nel suo cuore. È capitato a partita finita da un pezzo quando s’è trattato di uscire e ci siamo trovati di fronte a cancelli chiusi. Sino a quando è arrivato un tipo di mezz’età, svelto di gambe e di lingua che ci ha fatto salire due piani, si è inoltrato in un salone ben illuminato e dà lì nel sancta sanctorum da quando il calcio gaelico, l’hurling, il camogie (hockey su prato molto duri, il primo per gli uomini, il secondo per le donne) celebrano le loro finali, con i volti in bronzo, di gusto biblico, dei padri fondatori.
Tutto in gaelico, neanche una parola in inglese: se non sapete che Luimneagh è Limerick, che Baile atha Cliath è Dublino, siete fregati, pensate di aver passato una stargate, di esser finiti su un altro pianeta dove si parla la lingua dei re, dei bardi, dei trovatori spariti, ma anche della gente comune quando non erano ancora arrivati gli invasori: i baroni normanni, i veterani di Cromwell lord protettore, gli uomini della Corona che trasformarono l’isola in una caserma, in un luogo dove allevare cavalli. Gli irlandesi? Si fottessero. Gli irlandesi muoiono di fame? Stessa risposta di prima.
La storia e la memoria: tutto dentro uno stadio per 82.300 spettatori (ma il record è 90.556 per Offaly-Down del 1961- Se è necessario usare la parola sacrario, Croke Park è un sacrario. Una delle gradinate è stata battezzata 16 Hill, la collina del ’16: costruita con le macerie dell’insurrezione di Pasqua, quando gli obici inglesi fecero a pezzi la città georgiana e snidarono i rivoltosi asserragliati oltre le colonne doriche della Posta Centrale. Dopo, vennero i processi sommari, le fucilazioni, i campi di concentramento: in Irlanda gli inglesi si sono sempre comportati come non si comportarono in India, in Africa. A sir Roger Casement, pari d’Inghilterra, toccò il capestro, alla Torre di Londra. Intelligenza con il nemico e alto tradimento: le accuse per chi aveva sposato una causa e aperto un canale con la Germania. Le armi promesse dal Kaiser non approdarono a St Finian Bay ma l’insurrezione si accese, generosa e squilibrata: William Butler Yeats scrisse che una terribile bellezza era nata. Spesso i poeti sanno lavare l’orrore con le parole.
Quattro anni dopo, nello stesso sforzo e nello stesso sangue attraversati da un nascituro, l’Irlanda vedeva la luce nel compromesso dello Stato Libero, nelle faide, nelle ostilità che mettevano irlandese contro irlandese, che vedevano l’esercito inglese e feroci forze ausiliarie occupare ancora l’isola. Lo stadio di Dublino era la sintesi di un desiderio, il luogo dove ritrovarsi, parlare irlandese, dire Sinn Fein, noi da soli, cantare, appassionarsi per gli sport della tradizione, occupare ogni stanza della città, prosciugare le riserve dei pub. Non fu un caso trasformarlo nel luogo del martirio, in un Golgota moderno: il 21 novembre 1920 il calendario del calcio gaelico aveva in programma Dublino-Tipperary in una città attraversata dalla tensione: il giorno prima gli uomini di Michael Collins avevano eliminato la Cairo Gang: 14 tra agenti inglesi e informatori abbattuti a revolverate, in una decapitazione che colpì chi riforniva di materia prima le celle e le sale di tortura del Castello.
La polizia e le forze ausiliarie – i Black and Tans – avrebbero dovuto operare un rastrellamento: iniziarono a sparare appena arrivati allo stadio fornendo la giustificazione di essere diventati bersaglio di cecchini dell’Ira: erano dei venditori di biglietti, lo testimoniarono anche i giornalisti inglesi presenti. Sotto il fuoco morirono 13 spettatori: Jeannie Boyle era andata alla partita con il suo fidanzato, avrebbe dovuto sposarsi di lì a cinque giorni. Persero la vita anche due bambini: uno aveva 11 anni, l’altro 10. La polizia esaurì 164 caricatori. Cadde anche il capitano del Tipperary, Michael Hogan: una delle tribune porta il suo nome. Fu la prima Bloody Sunday, la prima Domenica di Sangue. 52 anni dopo, il bis, a Derry: questa volta a sparare sulla folla inerme furono i paracadutisti e anche in quell’occasione fu inscenata la danza delle menzogne, delle versioni vergognose..
Quando decisero di aprirlo al rugby mentre veniva ricostruito Alandone Road, colpito dal Parkinson delle stretture (iniziò con una sconfitta ad opera della Francia e a seguire il più pesante rovescio subito dagli degli inglesi, 43-13) il dibattito fu straziante. Quello è lo sport degli inglesi, di quelli che avevano trasformato l’Irlanda in un luogo per l’addestramento delle truppe, che non avevano mosso un pollice – anzi, si erano compiaciuti -quando la Grande Carestia aveva spazzato via metà della popolazione e chi poteva trovava posto in una stiva e scappava in America, in Australia.
Croke Park era il simbolo: era possibile arrendersi davanti a qualche milione di euro? I tempi erano cambiati, non esisteva più la regola 27 della costituzione della Gaa (un membro può essere messo al bando se trovato a giocare il calcio, il rugby e il cricket) anche se la 42 continuava a proibire che all’interno di una proprietà dell’Associazione potessero essere ospitati sport e spettacoli in contrasto con gli interessi dell’Associazione stessa. Il voto finale annunciò che la Gaa era d’accordo per la cessione dello stadio al rugby e al calcio: 227 favorevoli, 97 contrari, 11 voti di margine per ottenere i due terzi.
Votò contro Oliver Hughes, presidente del Bellaghy, nell’Ulster tormentata: aveva avuto il fratello Francis morto nel blocco H, con Bobbie Sands, e quando per i funerali arrivarono in 100.000 e una donna domandò alla madre cosa provava in quel lomento, lei rispose: “un grande orgoglio”.
Nella foto di apertura, ricordo delle vittime sul prato del Croke Park nel centenario della Bloody Sunday del 1920