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The Rugby Channel si è aggiudicato (per il momento, e salvo “l’eventuale ingresso di un broadcaster nazionale”) il diritto di trasmettere in streaming, in Italia, le partite del Pro12. Onore al merito.

Sul tema si è accesso nei giorni scorsi un interessante dibattito, però, al quale può contribuire l’intervista realizzata qualche mese fa da Allrugby con il direttore di Sky Sport, Giovanni Bruno.

Emergono alcuni dati, che Bruno evidenzia con eleganza. Il Pro12, in Italia, non è un prodotto televisivo di appeal e il rugby stesso nel nostro paese lo è solo a certi livelli e per piccoli numeri.

Dall’anno di ingresso delle italiane il torneo celtico, da noi, è stato trasmesso, nell’ordine da: Dahlia (fallita), RaiSport, Mediaset, Nuvolari (in concordato preventivo), nessuno, salvo The Rugby Channel in streming.

E’ evidente che al di là di ogni considerazione il prodotto non interessa. Fatto confermato dai numeri degli spettatori sulle tribune di Treviso e di Parma, dove il pubblico, invece di crescere, cala. Dipende dai risultati? Non solo Cardiff Blues e Dragons, rispettivamente settima e decima, la scorsa stagione hanno fatto il triplo, o il quadruplo, delle due italiane.
Questo il pubblico della scorsa stagione (2015/2016) nei dodici campi del torneo:

Media a partita
Ulster 15.600
Leinster 14.763
Munster 12.508
Cardiff Blues 13.337
Dragons 11.502
Ospreys 8.261
Scarlets 7.361
Glasgow 6.806
Edinburgh 5.483
Connacht 4.959
Treviso 3.164
Zebre 2.376

 

 

 

L’offload sul satellite

 

A due anni dallo “scippo” del Sei Nazioni da parte di DMAX. Giovanni Bruno, direttore di Sky Sport, ragiona di tv, rugby e del mondiale in corso, fiore all’occhiello dell’offerta pay ovale. Ma che futuro c’è in termini commerciali per “l’altro rugby”, il campionato, il Pro12, le franchgie?

 

Di Federico Meda


Direttore, Sky da tempo ha il freno a mano tirato sul rugby. Quando è iniziata questa parabola discendente nell’acquisizione dei diritti?

In realtà mai. Ha fatto scalpore l’aver perso il Sei Nazioni ma noi abbiamo fatto un’offerta che non è stata accettata. Il board del torneo ha fatto scelte diverse e noi continuato sulla nostra strada.

 

Avete però perso il torneo di riferimento del rugby, almeno nel vecchio continente.

Capisco il punto di vista ma il nostro obiettivo è sempre stato il Mondiale. È un fiore all’occhiello, una vetrina. E dura un mese e mezzo, creando un’attesa pazzesca. In termini di abbonati è una risorsa molto importante e fa da traino ad altri eventi: i test pre-mondiali sono andati benissimo, partite come Inghilterra-Francia, apparentemente delle incognite, hanno fatto ascolti inimmaginabili.

 

Avevate l’Eccellenza, i Test match, il Sei Nazioni. Perché non vi siete mai avventurati sul sentiero del Pro12?

Proprio l’esperienza del massimo campionato ci ha portato a valutare attentamente il prodotto che prendeva il posto della Celtic League. Troppi costi, una difficoltà oggettiva a renderlo un prodotto in linea con gli standard Sky, un ritorno di abbonati relativo.

 

Le sedi delle franchigie influiscono?

Ovviamente sì. Che ritorno di ascolti o di abbonati puoi avere con squadre di Treviso e di Parma?

 

Ma non è un problema del solo rugby: anche pallavolo e basket vivono di provincia.

Infatti Siena-Treviso, che è un match di cartello, fa un ascolto ridicolo rispetto a un Milano-Roma.

 

Dove si dovrebbe giocare per avere un ritorno, sempre in chiave Sky?

Nelle solite piazze: Milano, Roma, Napoli, Palermo. Ci aggiungo Catania. I grandi centri, in cui una squadra al top, di qualsiasi sport, attira pubblico, attenzione dei media, abbonati. La formula è semplice e cinquant’anni fa – per certi versi – funzionava anche nel rugby. In Serie A c’erano le venete, Parma ma anche la Partenope, la Roma, due squadre di Milano, Bologna, Torino…

 

Ora esiste solo il calcio e l’alto livello sopravvive solo in provincia.

il Dio pallone è una grande risorsa, non c’è dubbio. Ma ormai bisogna saper gestire tutto al meglio, perché si cambia in fretta. Dopo aver perso la Champion’s League, ad esempio, eravamo pessimisti sull’offerta calcio ma poi abbiamo lavorato sulla Serie B, l’Europa League, le partite di qualificazione e stiamo tenendo benissimo.

 

Anche sul rugby potete dire la stessa cosa?

In linea di massima sì. Perché avere poche cose – che poi poche non sono, intendiamoci – ha aiutato. Noi abbiamo il “Brasile del rugby”, ovvero gli All Blacks, abbiamo il Super Rugby, il Championship, i grandi test internazionali, i Mondiali. Abbiamo il meglio alla massima qualità: le produzioni del rugby sono di altissimo livello, le sperimentazioni sono avanti anni luce rispetto ad altri sport. Il rugby fa da traino, tecnologicamente, ad altre discipline.

 

E l’abbonato del rugby che tipo è?

È esattamente quello cui ci rivolgiamo: buona scolarizzazione, buone possibilità economiche, una certa sensibilità estetica. Beh la base ovale per eccellenza è l’Università, non è certo uno sport popolare.

 

Anche se lo spacciano per tale…

In realtà siamo pochi, ma buoni. E gli sponsor, mediamente, sposano il prodotto-rugby. Pensiamo a Jaguar, Cariparma, Land Rover. Si punta sull’ovale con investimenti sui media, sulla tv. Poi noi facciamo promozione davvero. E prima dell’evento si nota, aiuta, da risultati.

 

Altro da aggiungere sul telespettatore ovale?

Non giovanissimo. Rispetto al basket – che stiamo coccolando, dopo l’Europeo trasmettiamo anche il campionato – che ha un pubblico giovane che arriva dall’Nba, il fruitore di rugby è più maturo. Infatti il prodotto è leggermente diverso: la palla a spicchi è proposta con un taglio più allegro, con telecronache affidate a gente preparata ma che sa entusiasmare.

 

Come vanno gli altri prodotti ovali? Lions, Championship…

Su questi eventi c’è una buona base di appassionati che li segue sempre e comunque. Torno al discorso di prima: ora siamo meno dispersivi e la gente sembra apprezzarlo. Forse prima c’era addirittura troppo rugby su Sky.

 

Da rugbista, prima ancora che direttore dello sport a Sky, cosa ne pensi del nostro domestic, del Pro 12, del futuro in genere?

Il nostro è lo sport da cui dovrebbero prendere esempio tutti gli altri. Inni con giocatori alle lacrime, un’atmosfera sugli spalti pazzesca, il meglio della tecnologia HD applicata al gioco. Non posso che essere ottimista.

 

Il problema è che nel campionato di Eccellenza non ci sono né gli inni, né spalti stracolmi, figuriamoci l’HD. Come la mettiamo?

Noi, all’epoca, decidemmo di mettere le telecamere sulla tribuna opposta, per inquadrare quella piena e migliorare il prodotto italiano. Qualcosa si può fare. Poi bisogna saperlo promuovere, cosa che – invece – non tutti sanno fare. Sul resto bisogna lavorare, andando come detto verso centri medio-grandi, con stadi piccoli ma costruiti in maniera intelligente. E cercare di rinverdire i fasti di un rugby che fu.

Mancano ancora 4 anni al mondiale giapponese, come quello in Nuova Zelanda difficile da gestire al meglio per via del fusorario. Rimane un obbiettivo o ragionerete dell’investimento alla luce dei risultati (deludenti) del 2011?
Il mercato dei diritti è molto meno ingessato rispetto a una volta. Valuteremo al momento opportuno, come ragioneremo di Champion’s League quando con Mediaset il contratto si avvicinerà alla scadenza.

E nel 2018 tornerete alla carica con il Sei Nazioni o è palla persa?
Nel mondo pay per view non esistono palle perse. Si ricicla sempre, anzi si calcia a seguire e si spera di recuperare il possesso.
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Questi gli ascolti ufficiali (totali, 15 partite) del Sei Nazioni 2015 (tra parentesi di dati dell’anno precedente

BBC (UK): 71.9 milioni (62.9 milioni)
France Television: 45.4 milioni (44.0)
Discovery (Italia): 5.7 milioni (5.1 million)
RTE (Irlanda): 661.800 (376.500)

  • Attenzione in Irlanda le partite possono essere viste anche sulla BBC
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