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Come le tre streghe di Macbeth, i tre stregoni stanno preparando la pozione pescando uno a uno gli ingredienti – foglie di felce, coda di pesce pietra, fegato di lucertola – nella magia maori, figiana e samoana. Se le cose, sabato a Lione, dovessero andar bene, il liquido finirà in qualche preziosa boccetta e diventerà un profumo francese: il Racing numero 92, in vendita a non meno di 100 euro la confezione. Oltre alla pozione che stanno mescolando, quelli che vengono dall’altra parte del mondo possono contare anche su numeri cabalistici, il 19 e il 16 che hanno scandito le vittorie sul potente Tolone e sul tigresco Leicester.
Gli All Blacks parigini rappresentano tutti i rivoli di sangue presenti tra i Neri – pakea, maori, isolano degli arcipelaghi sparsi nel gran mare salato del Pacifico – e al tempo stesso hanno radici molto piantate nella Francia metropolitana e provinciale. Sommando le età, hanno un secolo abbondante (Chris Masoe 37 anni il giorno dopo la finale, Dan Carter 34, Joe Rokocoko quasi 33), 200 caps da men in black (20 più 68 più 112) e del rugby giocato nell’Esagono hanno una profonda conoscenza: Dan brevemente a Perpignan da wonderboy prima di un grave infortunio, Joe a lungo a Bayonne, Chris a Castres e a Tolone. Ora, nel meriggio di vite passate a calciare, esplorare spazi e trovare varchi, lottare dentro la mischia o nell’area più accesa dello scontro, si sono ritrovati a Parigi per la prima avventura dei “bianchi e cielo” nella finale della Coppa dall’andamento spietato: nella fase a gironi è vietato anche il più piccolo errore, nei quarti e nelle semifinali non c’è un match di ritorno per rimediare. Sarebbe troppo comodo e meno appassionante.

Nella foto di Paul Ellis/Getty Images, una carica dell’All Black Joe Rokocoko nella semifinale con il Leicester

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