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Alla vigilia del test decisivo, un occhio alla storia e un occhio ai conti: sul piano economico, nessuno perde.

L’idea venne a Alfred Shaw e Arthur Shrewsbury, due giocatori che nel 1881, insieme a James Lillywhite, avevano organizzato un tour della nazionale inglese di cricket in Australia, Nuova Zelanda e America. La trasferta era durata otto mesi e aveva fruttato ai tre promotori dell’avventura 700 sterline a testa, abbastanza per mettere in cantiere una replica (1886/1887) che però non ebbe altrettanto successo. E peggio ancora andò l’anno successivo quando un nuovo tour (1888) collezionò perdite per 2.400 sterline, una cifra assai considerevole per i tempi.

Fu a quel punto che Shrewsbury e Shaw decisero di provare con il rugby, mettendo insieme una formazione che disputò, tra Australia e Nuova Zelanda, trentacinque partite vincendone ventisette.  Erano i primi British & Irish Lions della storia, anche se nemmeno loro sapevano ancora di esserlo, e aggiunsero altre 800 £ di perdite a quelle già generate dal cricket. Un disastro.

Ognuno di quei giocatori era stato ingaggiato per una cifra che poteva arrivare anche a 200 £ per l’intera trasferta, la cui durata fu di nove mesi, tre dei quali trascorsi in navigazione.  Le cronache raccontano che i due organizzatori del viaggio impallidirono quando fu loro presentato il conto di ciò che la squadra aveva bevuto nel corso delle settimane trascorse sulla SS Kaikoura, la nave che li aveva trasportati nel sud del Pacifico: 68 £ in totale, un importo astronomico, dato che all’epoca una famiglia benestante ne spendeva non più di 70 all’anno per vivere “bene”.

Fino all’avvento del professionismo (1995) nessun tour dei Lions ha realizzato alcun tipo di profitto, ma dal 2009 in poi l’affare si è fatto sempre più importante. Nel 2013 HSBC sponsorizzò la trasferta in Australia per una cifra (non ufficiale) di circa 7 milioni di sterline, oltre 8 milioni di €, con un surplus totale dell’evento vicino ai 6 milioni di £.

Nel 2005, in occasione dell’ultimo tour dei Lions nella Terra della lunga nuvola bianca la NZRU mise nelle proprie casse circa 14 milioni €, una cifra che fa impallidire ciò che l’intera avventura dovrebbe fruttare a ciascuna delle quattro Home Unions quest’estate, ovvero poco meno di due milioni di € a testa.

Ma quando costa il tour nel suo complesso?

Nel 2013 l’intera trasferta in Australia presentò un conto di circa 16,5 milioni di euro, dei quali quasi tre milioni per l’ingaggio dei giocatori e dello staff. Quattro anni fa gli atleti ebbero un compenso di 50 mila sterline a testa. Quest’anno per le sei settimane di disponibilità riceveranno 70 mila sterline ciascuno (circa 82 mila €) più un premio nel caso dovessero aggiudicarsi la serie.

La stessa cifra, 70 mila sterline, è messa a bilancio come ricompensa per ciascuna federazione per ogni atleta che prende parte al tour: in pratica la RFU per i suoi convocati (15 dopo la rinuncia di Ben Youngs) riceverà più di un milione di sterline, il Galles oltre ottocentomila, l’Irlanda 770 mila, la Scozia 210 mila.

Gli incassi vengono tutti dagli sponsor e dalla quota dei diritti tv.

Per comprarsi un pezzetto di storia, per esempio, la cravatta ufficiale dei Lions, confezionata da Thomas Pink, uno degli 11 sponsor della squadra, ci vogliono 69 sterline (circa 82 euro). Per la maglia (Canterbury) bisogna spenderne una di più, 70. Ma se la scelta cade sulla replica ufficiale di quella usata in campo il costo sale a 120 £.

Poi ci sono le serate ufficiali, parecchie nei mesi scorsi, tanto che Warren Gatland ha detto di essere stato impegnato più con gli sponsor che nella scelta dei giocatori. Alla Cambridge University, che nell’arco della sua storia ha avuto fra i suoi studenti ben 73 Lions, un posto a tavola in una serata promozionale in vista del tour costava a metà aprile quasi 300 €, poco se si considera che i tifosi britannici per il viaggio in Nuova Zelanda sono disposti a fare follie. Saranno almeno in 35 mila a volare nell’Emisfero Sud dove troveranno prezzi tutt’altro che a buon mercato: il pacchetto per l’intera trasferta (39 giorni) costa quasi 16 mila sterline, ma in un paese in preda alla febbre ovale il fai da te rischia di costare ancora di più: nelle date dei Test match gli alberghi sono sold out e su Airbnb ci volevano il mese scorso quasi 800 € per una notte a Wellington dove All Blacks e Lions si sono affrontati  il 1 luglio.

La sfida tra British & Irish Lions e Nuova Zelanda del resto, è la quintessenza del rugby internazionale: da una parte le quattro nazioni che hanno inventato il gioco, dall’altra la squadra che ne ha fatto una religione e ha vinto tre volte il Mondiale, nessuno come loro. Sotto questo aspetto Australia e Sudafrica sono lontane anni luce e la Francia è una cosa a parte. Standard Life Investments, sponsor dei Lions, non a caso è sponsor anche della Ryder Cup, la sfida Europa – America che tiene banco nel golf, e che fino al 1979 era Regno unito – America, tanto per chiarire lo spirito. Metteteci anche The Ashes, il confronto tra Inghilterra e Australia nel cricket, ed ecco fotografata la filosofia vittoriana del gioco: lo sport in Gran Bretagna è confronto tra la madre patria e il nuovo mondo delle colonie.  Altro non è dato.

Il rugby è un gioco di pochi alla ricerca, oggi, dell’attenzione di tanti: non è un caso che All Blacks e Irlanda si siano affrontate lo scorso autunno a Chicago. L’obiettivo è offrire lo spettacolo a un pubblico sempre più vasto, pazienza se gli attori sono sempre quelli e i nuovi siano al massimo dei comprimari. L’importante è che mettano a disposizione un’audience sempre più globale. Ad allestire lo show restano i soliti noti.  E il business è tutto loro. (gianluca barca)

  • Nel 2013 il tour dei Lions in Australia procurò un incasso pari a 40 milioni di sterline per la Federazione australiana, e con esso la Aru coprì il “buco” di 12,5 milioni accumulato nei due anni precedenti
  • 5 milioni di sterline (8,9 milioni di €) è il valore della sponsorizzazione di Standard Life Investments, main sponsor dei British & Irish Lions 2017

Nella foto di David Gibson/Fotosportit, la meta di Faletau nel secondo test

 

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