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Rovigo ha imparato la lezione: nelle partite di vertice sono diminuite le mete e i polesani hanno interpretato alla perfezione questo copione: con Mc Donnell in panchina nel girone di ritorno hanno realizzato una sola meta contro il Petrarca al Battaglini (23-16), nessuna contro il Mogliano, sempre in casa (21-16), nessuna contro il Viadana allo Zaffanella (15-6), due contro FFOO e Calvisano. Una in finale: è bastata per vincere.
Alla vigilia dei play off, Pippo Frati, l’allenatore esonerato a dicembre, diceva: Secondo me sta passando una mentalità che privilegia il risultato a tutti i costi: mischia, up & under, controllo delle fonti del gioco…Tutti dicono che il campionato deve servire a formare i giovani giocatori, ma poi non vedo questa disponibilità a provare a fare qualcosa per crescere. Io resto un inguaribile sognatore e, dopo averne perse quattro, ancora non ho capito che le finali non si giocano, si vincono. L’anno scorso, la mia colpa è stata quella di voler vincere la partita con il nostro stile, le nostre caratteristiche. Quella finale, col senno di poi, andava preparata invece, probabilmente, in un’altra maniera. Il Calvisano comunque è stato bravissimo a difendersi in quattrodici, ha fatto un gran match e di questo gli va dato merito. Al Rovigo fino a dicembre do 9, poi ad essere sinceri, dopo il mio esonero ha cambiato un po’ modo di giocare. I risultati però gli danno ragione. Ha segnato praticamente le stesse mete del Calvisano, una più, una meno. Quindi va bene lo stesso”.
Il cambio di modo di giocare è quello che ha regalato ai rossoblù il tanto atteso scudetto.
Attenzione ai numeri: nella regular season, Rovigo aveva realizzato 616 punti contro i 488 del Calvisano. Fanno una media di sette in più a partita a favore dei polesani (34-27) e sette sono stati i punti (20-13) che hanno deciso la finale.
L’altro dato interessante è il peso delle mete (67) nel complesso dei punti del Calvisano, pari al 68%, senza contare le trasformazioni, mentre per il Rovigo le 73 mete hanno costituito solo il 59% del bottino totale. Insomma, i gialloneri per vincere la finale avrebbero dovuto puntare più sulle mete che sui calci di punizione, mentre il Rovigo sapeva di avere in Basson un cecchino senza pari.
E infatti i polesani hanno impostato la partita decisiva sul rischio zero: confronto muscolare e sfida tutta frontale: gli up&under e il controllo delle fonti di gioco di cui parlava (negativamente) Frati.
Un confronto per il quale il Calvisano, almeno in teoria, avrebbe dovuto trovare con Costanzo, Cavalieri, Beccaris, Morelli, Tuivati le opportune contromisure. Se la truppa non fosse arrivata logora e stanca a fine stagione.
Nei play off Basson ha realizzato 37 punti su 67, ovvero il 55% dei punti totali della sua squadra.
“Nel campionato di Eccellenza non serve impostare il gioco su più fasi – aveva spiegato Mc Donnell alla presentazione del match –, non c’è molto ritmo, non c’è molta intensità: è meglio fare bene le cose semplici e raccogliere punti quando ciò è possibile”. Con Basson in campo la ricetta si è rivelata azzeccata. Il Calvisano, a differenza di un anno fa, si è spento lentamente: Costanzo ha retto venti minuti, sette in meno della finale precedente, quando fu espulso.
In mischia chiusa il Rovigo ha raccolto 5 calci di punizione a favore su 9.
Mc Donnell ha avuto ragione: sono i dettagli che contano.

Nella foto di daniele Resini/Fotosportit, la meta decisiva del Rovigo

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