vai al contenuto principale

“Ottanta minuti”, sottotitolo “L’Italrugby, l’ambizione di arrivare in alto, parte dal 5 febbraio 2000, giorno del vittorioso debutto dell’Italia nel nuovo Torneo delle Sei Nazioni allo Stadio Flaminio di Roma, contro la Scozia, campione uscente dell’ultimo Five Nations. Di lì si risale alle origini, ripercorrendo molti momenti salienti dell’evoluzione del movimento rugbistico azzurro. Così il filo narrativo ci riporta a quel punto di svolta di inizio millennio, ricordando grazie ai protagonisti come maturò quella prima storica vittoria. E con ripetuti balzi in avanti nel tempo, saltando a piè pari l’ultimo quarto di secolo, si aprono finestre sul presente, con riprese dei “gladiatori” azzurri di oggi sul campo e negli spogliatoi del Sei Nazioni 2025. Perché non avrebbe senso rievocare il passato solo come nostalgico vagheggiamento dei bei tempi romantici che furono, senza una visione attualistica e prospettica su presente e futuro. 

OTTANTA MINUTI è stato presentato nella sezione “Special screenings” della 20a edizione del “Rome Film Fest” (Roma, 15-26 Ottobre 2026).

Non stiamo recensendo un film giallo, e quindi andiamo subito al sodo per esternare quello che, a chi scrive, la visione ha lasciato. La parola che spontanea viene in mente è “sentimento”. Le testimonianze dei tanti intervistati (ex giocatori, cronisti, sportivi in attività, che sarebbe lungo da citare integralmente) hanno questo filo conduttore comune, che è il collante del racconto. Devo però per forza menzionare qualcuno, per spiegare questa percezione.

In primo luogo il decano dei protagonisti, il napoletano Erasmo “Mimmo” Augeri, classe 1939, che concede allo spettatore l’intimità dei suoi pensieri, candida come la magliettina bianca che indossa davanti alla telecamera. Mimmo si commuove, valutate voi quanto per nostalgia e quanto per rammarico, nel ricordo dell’occasione mancata a un minuto dalla fine, il 14-12 contro la Francia del 14 aprile 1963 a Grenoble, quando esordì Marco Bollesan in nazionale.

Emozionano poi le immagini in bianco e nero di Bollesan, estroverso guascone anni Settanta, nello studio de “La Domenica Sportiva”, in un tempo che fu.

 Foto di gruppo alla presentazione del documentario: da sinistra Marco Mazzocchi, Serafino Ghizzoni, Giambattista Croci, Massimo Giovanelli, Mimmo Augeri, Paolo Vaccari, Matteo e Giacomo Mazzocchi.

Le lacrime salgono agli occhi di Massimo Giovanelli nell’illustrare il terreno di coltura della vittoria, cercata e trovata, il 5 febbraio 2000. Una vittoria per tutti quelli che c’erano prima, e hanno cominciato a costruire dalla base la piramide che l’Italrugby continua a portare in elevazione, puntando ad un vertice che tuttora non si riesce a intravedere. Una vittoria da dedicare a chi avrebbe dovuto esserci, Ivan Francescato scomparso un anno prima, il cui ricordo emoziona profondamente non solo il fratello Rino, ma anche Giovanelli, Paolo Vaccari e Diego Dominguez, altri protagonisti la cui presenza arricchisce il documentario. Una vittoria inattesa da considerare, soprattutto, espressione della capacità di resilienza di una squadra che nel 1999 aveva perso orientamento e identità, dopo la prematura scomparsa di Francescato e i dissidi che portarono alla conflittuale separazione dal C.T. Georges Coste e alla perdita dei galloni di capitano per Giovanelli.

Infine, è toccante la schiettezza aquilana di Serafino Ghizzoni, che non trova pace ancora oggi, a settant’anni compiuti, per dover vedere le partite da fuori: “il sogno della mia vita è poter entrare ancora in campo”.

Per uscire da questo solco sentimentale, cambiamo rotta citando la irriverente definizione che Paolo Vaccari ha dato di Coste: “un orsetto sempre incazzato”. Sia consentito dire che a Georges Coste va tributato un gran merito, tra quelli che nel documentario vengono chiamati i “missionari francesi”, per avere inculcato il cambio di mentalità nei rugbisti italiani, lungo il solco già tracciato da Villepreux e Fourcade.

Il racconto si sofferma poi sulla fase dell’avvento del professionismo, nei primi anni Novanta, con l’Amatori Milano rigenerato dopo l’inglobamento nella polisportiva Milan di Silvio Berlusconi, e sull’antagonismo con l’altra realtà dominante di allora, il Benetton Treviso, a rappresentare le due “protofranchigie” del rugby italiano. Si rievoca poi, sempre grazie ad alcuni dei protagonisti interpellati, un episodio importante, lungo il percorso del nostro movimento sportivo, improntato allo spirito del “volere è potere”: lo scudetto che il 23 aprile 1994 L’Aquila, espressione del radicamento locale e popolare, conquistò proprio contro il Milan stellare e a vocazione internazionale di Berlusconi (il quale peraltro quattro giorni dopo avrebbe stravinto le elezioni politiche).

Fermiamoci qui. Si veda il film, di prossima trasmissione sui canali RAI, per cogliere con il proprio metro di giudizio il messaggio di questo “making of” del rugby italiano. Si noti che, a dispetto del titolo, il film di minuti ne dura circa 90 (82 nella versione leggermente condensata per la Festa del Cinema di Roma), forse anche per ricordarci che a tempo rosso non si molla fino a che la palla – reale o metaforica che sia – sta ancora in campo.

A chi quelle storie la conosce già, da protagonista o da semplice spettatore, si consiglia di porsi davanti allo schermo con lo stesso spirito con cui si rivede con piacere, per l’ennesima volta, un film del proprio cuore, scoprendoci qualcosa di nuovo.

Ai giovani praticanti che ne sono ignari, per i quali pare proprio pensata quest’opera nucleata nell’ambiente della Primavera Rugby Roma, si rivolge invece un invito a conoscere personaggi e momenti fondanti del rugby italiano.

Va detto che molti personaggi e episodi importanti della nostra palla ovale si dovrà cercarli altrove, dato che il documentario – per impostazione e non avendo la pretesa di essere un compendio storico assoluto – ha scelto di confinarsi entro i limiti temporali sopra richiamati, e mancano perciò del tutto gli ultimi 25 anni.

Ciò nonostante, mentre scorrono titoli e immagini di coda sulle note della canzone “Delinquenti prestati al mondo della palle ovale”, i giovani giocatori e i giocatrici si spera realizzino di aver scelto lo sport giusto. Quello che insegna, come è accaduto ai tanti protagonisti del film, a trovare il proprio posto nel campo. Ma anche nel mondo e nella vita. Che in fondo sono la stessa cosa, n’est pas?

Box- Scheda dell’opera

Regia: Matteo Mazzocchi

Sceneggiatura: Shadi Cioffi, Mattia Frignani

Fotografia: Willam Santero, Daniele Lianka Carlevaro, Stefano Petti

Montaggio: Marco Guelfi

Produttore: Andrea Paris, Matteo Rovere, Leonardo Godano

Produzione: Ascent Film, Luce Cinecittà

Coproduzione: Rai Documentari, Federazione Italiana Rugby

Il regista 

Regista di Ottanta minuti è Matteo Mazzocchi, la cui famiglia è ben noto essere pervasa del rugby e del suo spirito, menzionando naturalmente il padre Giacomo e il fratello Marco (quest’ultimo peraltro nel film porta le sue testimonianze). Romano, classe 1971, Matteo si è dedicato fin da giovanissimo al settore audiovisivo, e già dal 1999 iniziò a realizzare reportage di viaggio in tutto il mondo, tra cui in particolare uno durato sei mesi attraverso tutto il Sudamerica da Ushuaia fino ai Caraibi. A metà degli anni Duemila ha condotto per due edizioni il programma on the road “Il viaggiatore” su Mediaset e, nel 2005, ha fondato la casa di produzione “Rewind”, specializzata in reportage di viaggio e documentari in ambito sportivo (tra cui per la Rai “K2 il sogno l’incubo” su una spedizione italiana del 2007, “Yukon Quest” sulla gara di cani da slitta più antica al mondo in Alaska). Nel 2001 ha vinto il premio “Presidente della Repubblica” al Festival del cinema sportivo di Torino con un lungometraggio dedicato alla tournee estiva del 2001 della nazionale di rugby in Sudafrica, Namibia, Argentina e Uruguay.

Torna su