
Dall’archivio di Allrugby (e dintorni), piccola antologia di ricordi delle trasferte azzurre a Twickenham.
8 ottobre 1991 – Coppa del Mondo
Carlo Gobbi (da La sesta nazione – 80 anni della Federazione Italiana Rugby)
Inghilterra vs Italia 36-6
[…]. Quando gli inglesi lisciano il pelo agli avversari, è segno che non li temono e li vogliono azzannare. Accadrà proprio così, al nostro vero debutto a Twickenham. Entrare nel tempio, potrebbe costare un vero «coccolone» di emozione ai nostri guerrieri. Zanon afferma orgoglioso: «Inizieremo subito forte per far capire agli inglesi che non siamo qui per prenderle». Invece… L’arbitro, Anderson, scozzese, fischia tutto il fischiabile e anche di più. Al banchetto serale, affermerà sdegnato che gli italiani hanno impostato solo una gara ostruzionistica, cercando di non far giocare gli avversari. Ha chiamato il capitano, ma invano. Segno evidente che gli azzurri non sanno giocare con il pallone in mano e distruggono soltanto. Forse avrà anche avuto ragione, perché il primo concetto è di non prenderle. L’Inghilterra ci domina, anche se nel punteggio non usciamo umiliati: 36-6 con quattro mete, stavolta a rovescio rispetto a Otley (dove si era disputato il match contro gli Usa, vinto dall’Italia 30-9, ndr). Il pilota della Raf, Rory Underwood, ci infila la prima con Gaetaniello fermo a guardare. Si ripete Guscott, centro delle Antille, nobile l’origine, con una doppietta e chiude Webb. Noi segniamo con Marcello Cuttitta (la meta valeva ancora 4 punti), trasformata da Diego Dominguez. Non è bastato appoggiare la nazionale sul solido blocco della Mediolanum. L’impatto è forte, l’Inghilterra ha un gioco molto efficace con gli avanti, con due ercoli, Dooley e Ackford, in seconda linea e dietro il principino, Rob Andrews, che smista palloni da gran signore. Si perde e pazienza, ci stava anche.
Ma c’è un curioso (e antipatico) siparietto a fine gara. In conferenza stampa, Fourcade, che non sta mai zitto è furente e non la manda giù, spara a zero sull’arbitro. A Otley aveva affermato che l’irlandese Doyle era troppo anziano per dirigere un match di Coppa. Che abbia letto le sue dichiarazioni, mister Anderson? Comunque Fourcade non risparmia critiche pesanti all’arbitro, che non ha lasciato giocare gli azzurri. Non contento, aggiunge che la sede di Otley per gara1 è stata assolutamente inadeguata a un evento come questo. Imbarazzo, ma anche irritazione negli inglesi. I giornalisti di casa, lo sappiamo bene, non ci perdoneranno. Giancarlo Dondi, non ancora presidente, qui in veste di manager, sfodera la sua arte diplomatica per riparare il danno. «Non si parla male dell’organizzazione quando si gioca fuori casa e non si critica chi ci ospita». Acqua sul fuoco, ma è troppo tardi. E Fourcade, piccato, ribatte duro: «Io dico sempre quello che penso». Bum. I giorni seguenti, la stampa inglese si diverte al tiro al bersaglio su Fourcade, che da francese aveva anche aggiunto a muso duro: «Voi inglesi non batterete mai la Francia in casa sua». Ma anche sugli azzurri e sulla loro presunta incapacità di giocare un buon rugby. È un coro solidale contro. La stampa italiana, non più così esigua come in Nuova Zelanda quattro anni prima, ma anzi nutrita e numerosa, cerca di aiutare la baracca come meglio può. Siamo inferiori, è vero. Ma non da essere presi in giro da chi ci ospita. Se la difesa avesse ceduto, l’Inghilterra sarebbe uscita dal «tempio» con un punteggio ben più vistoso. Come accadrà, purtroppo nella quarta coppa del Mondo. Quando gli inglesi addirittura ridicolizzarono l’Italia guidata da Massimo Mascioletti. Ma questa è un’altra storia.
17 febbraio 2001 – Sei Nazioni
In memoria di Carlo Bruzzone
Inghilterra vs Italia 80-23
Prima volta dell’Italia a Twickenham nel Sei Nazioni. Gli azzurri segnano subito con Denis Dallan, Dominguez trasforma: 0-7. Wilkinson accorcia dalla piazzola, poi Healy al 14’ va in meta, Wilkinson trasforma, 10-7 per i padroni di casa. Scanavacca pareggia al 17’. Healy e Wilkinson fanno 17, Checchinato e Scanavacca mettono il risultato di nuovo sul pari. E quando al 28’ il numero 10 dell’Italia, porta di nuovo i suoi in vantaggio, 20-17, Carlo Bruzzone, giornalista genovese, collaboratore della Gazzetta dello Sport, si alza in piedi in mezzo alla tribuna stampa urlando: “…e questi venti punti non ce li toglie più nessuno!”. Si andrà al riposo con gli inglesi davanti, 33-23. Poi nel secondo tempo, il diluvio: 80-23. Massimo punteggio mai messo a segno da una squadra nel Sei Nazioni.
*
7 febbraio 2009
Di Paolo Ricci Bitti (da Allrugby 198)
Inghilterra vs Italia 36-11
[…] Titoloni sui giornali, sorpresa, dubbi, domande e non tanto perché il prato della Fortezza una risaia non lo era mai stato e mai lo sarà. E’ che non si sapeva bene che cosa aspettarsi da quell’Italia in quell’avvio del 2009: in quella settimana prepartita, mentre Mauro inanellava furiosamente oltre 5mila passaggi (“A destra e a sinistra, che male alle braccia”) e mentre l’apertura Andrea Marcato sentiva una terribile puzza di bruciato, l’immagine degli azzurri era più quella della squadra slabbrata che aveva malamente perso contro gli estemporanei Pacific Islanders a Reggio Emilia in novembre che quella della formazione tenace che aveva battuto la Scozia al Flaminio (“il” drop di Marcato) nell’ultimo turno del Sei Nazioni precedente.Allo stadio con i soliti 80mila fedeli tante le domande dei colleghi inglesi su quell’esperimento, granitica la nostra fede nella scelta del ct. Eravamo certi non solo della classe di BergaMauro, ma anche delle consegne che sicuramente Mallett gli aveva scritto sull’ordine di servizio: “Non passare mai ad Andrea e gioca sempre con Sergio, AleZanni e Josh (le terze linee, ndr)”.
Macché, quella strategia di “riduzione del danno” non era stata proprio presa in considerazione da Mallett, anima bella e pura: al primo raggruppamento la palla era a disposizione a terra, ma Mauro si unì alla spinta dimenticandosi completamente del nuovo ruolo che gli era stato affidato. Meta di Goode. E quando Mauro si ricordò di essere il numero 9 andò pure peggio. Marcato, il povero Marcato, vide transitare l’ovale un paio di metri sopra di lui, dietro di lui, davanti a lui, ma mai e poi mai a tiro delle sue mani. Meta di Ellis e poi meta di Flutey. Al 31’ il match era già seppellito: 19-0, antefatto del 36-11 finale
10 marzo 2013
Di Giacomo Bagnasco (da Allrugby 198)
Inghilterra vs Italia 18-11
Beh, in teoria l’idea del padrone di quel pub non era mica così avventata. Bastava valutare le forze in campo a Twickenham: da una parte l’Inghilterra, che aveva vinto tre partite su tre e guidava la classifica del Sei Nazioni 2013 in solitudine; dall’altra l’Italia di Jacques Brunel, che aveva sì battuto la Francia all’Olimpico 23-18 nella partita inaugurale ma poi aveva perso piuttosto nettamente a Edimburgo con la Scozia (34-10) e a Roma con il Galles (9-26). Ed ecco l’offerta promozionale: birra gratis a tutti gli avventori dal fischio d’inizio fino alla prima meta dei padroni di casa. La strategia va a tanto così dall’essere vincente, visto che dopo 5 minuti Brown intercetta un calcio di Venditti e fallisce di poco il controllo dell’Ovale in area di meta. […] Il finale [invece] è praticamente a senso unico, con l’Italia che parte dalla trequarti, costruisce fase su fase (non meno di 20) e arriva a cinque metri dalla linea di meta. La palla sfugge ad Alberto De Marchi, l’occasione sfuma e sembra di avvertire proprio “fisicamente” il sospiro di sollievo da parte dei supporter di casa, quasi ammutoliti durante la lunga pressione azzurra. […]
L’Inghilterra prevale dunque per 18-11 senza segnare neanche una meta, perde sicurezza e nell’ultimo turno crolla a Cardiff: 30-3 per il Galles, che raggiunge i Bianchi in classifica e vince il Torneo per la migliore differenza punti. L’Italia, invece, conquisterà l’unico successo sull’Irlanda nel Sei Nazioni (per 22-15) e terminerà al quarto posto: era già accaduto nel 2007 ed è tuttora il migliore piazzamento degli Azzurri.
Ah, poi, ci sarebbe il padrone del pub. Ma perché infierire sul pover’uomo?
*
26 febbraio 2017
Di Gianluca Barca (da Allrugby 147)
Inghilterra vs Italia 36-15
Quel 26 febbraio 2017 non vincemmo e, probabilmente, non ci andammo nemmeno vicino. Però che soddisfazione scombinargli le carte con la “Fox”, vedere Haskell e Dylan Hartley non capirci niente, trattati da scolaretti impreparati dall’arbitro Poite, mentre il pubblico ululava e gli Azzurri circondavano i raggruppamenti come si fa nel basket con il pivot. Il gioco di prestigio inventato nei giorni precedenti l’incontro da Brendan Venter durò più di un’ora: al settantesimo il risultato era ancora in bilico 17-15 per loro, tre mete a due. Poi 19 punti negli ultimi dieci minuti, l’Inghilterra finalmente liberata dalle briglie che l’Italia gli aveva messo sul collo. Li avevamo sorpresi con il drop di Allan, con la meta di Venditti e poi gli eravamo rimasti incollati con quella di Campagnaro. I bianchi schiumavano, non venivano a capo dell’escamotage che gli negava il corpo a corpo, il braccio di ferro nelle ruck.
“Gli spettatori dovrebbero chiedere indietro i soldi”, tuonò dopo la partita Eddie Jones. I suoi avevano fatto la figura dei polli. “Quello che dovete fare non chiedetelo a me, io sono l’arbitro, non l’allenatore”, li aveva derisi Poite. Quel giorno uscimmo da Twickenham battuti ma non vinti. Era successo un’altra volta, nel 2013, quando avevamo perso segnando una meta più dei padroni di casa. In nessuna di quelle due occasioni alla fine della partita ci hanno detto “good game!”, la frase snob con la quale si inglesi si congratulano con gli sconfitti, una pacca sulla spalla e via.