
Dicono che la storia sia a “n” dimensioni. Anche il rugby lo è. Può essere sufficiente una “n” a fare la differenza.A meno di 23 anni Fin Smith è diventato il direttore d’orchestra dell’Inghilterra e qualcuno sta azzardando sia comparso in scena il nuovo Jonny Wilkinson. L‘uno e l’altro rinviano all’immagine shakesperiana di Enrico V, il giovane e biondo re che sbarca in Francia per sistemare vecchi problemi e ne esce vincitore, al fianco dei “felici pochi” che hanno deciso di seguirlo.
Finn Russell è il contrario: ha (o avrebbe?) il talento, l’intuizione, il genio della lampada. Ma non ha il dono della concentrazione (e della giusta ferocia) che devono sempre essere fedeli compagne di viaggio. Finn, ex scalpellino, con il rugby ha guadagnato molto – sia a Parigi che a Bath ha scalato la classifica degli stipendi più cospicui in uso nel mondo ovale– ma fallisce nei momenti che possono lasciare il segno e invece di un’umana disperazione non sa che offrire un sorriso beffardo.

Nel Torneo appena andato in archivio, Finn ha regalato a Brex la palla dell’intercetto, la prima giornata; ha fallito tre trasformazioni su tre quando la Scozia avrebbe potuto mantenere il possesso della Calcutta e un suo improvvido passaggio ha aperto la strada alla Francia che a quel punto ha preso il largo. Peccati mortali. Non dipende anche e soprattutto da Finn che gli scozzesi non riescano a imprimere il colpo d’ala che molti da loro attendono? Kinghorn, Jordan, Jones, van der Merwe, Graham hanno offerto momenti preziosi riuscendo a fare a meno dell’apporto di Tuipulotu.
Con la sua chiara visione di gioco, con un piede perfetto sia nelle parabole di spostamento e rovesciamento del campo, sia in fase di conversione delle mete (numerose) che hanno in lui l’ispiratore, Smith ha rubato il numero 10 all’altro Smith, Marcus, confida che Andy Farrell gli conceda un posto tra i Lions (la speranza è ben sostenuta dai fatti) e prenota un lungo futuro con la Rosa.
Steve Borthwick è stato bersaglio di tante frecce quante San Sebastiano ed è uscito dall’incomoda posizione con scelte giuste e coraggiose (chi avrebbe sottratto la numero 10 al saltabeccante Marcus?) e con un’adesione a certi canoni diventati improvvisamente d’attualità: un fenomeno di mutazione che permette un’interscambiabilità di ruoli, un’adattabilità che, anche in un tempo vicino, sarebbe risultata assurda o sacrilega. Il finale di Cardiff con Ben Earl a centro affianca le prove di Jegou e di Vintcent, terze linee potenti e veloci. La Rugby Union sempre più vicina alla Rugby League?
Cosa può aver suggerito il Torneo a Andy Farrell, condottiero dei Lions rilevando il bastone del comando da Warren Gatland? Per il tour contro un’Australia, passata dal naufragio a una resurrezione celebrata proprio a Twickenham, pescare molto in Inghilterra, valutare con attenzione le prestazioni degli uomini in verde che sino a pochi mesi fa ha allenato, premiare il meglio espresso dagli scozzesi (non solo centri e ali, ma anche Ritchie e il Fagerson di prima linea) e concedere almeno un paio di posti (Murray, Morgan) al povero Galles.
Nella foto del titolo Fin Smith in azione con la maglia dei Nothampton Saints (foto Northampton Saints)