
È facile prevedere i risultati fatali di questa strategia: la tattica della nazionale francese è basata sullo sfruttamento della massa degli avanti, i chilogrammi dei giocatori della mischia sono lanciati contro ogni variante del gioco britannico e ciò può risultare proficuo contro il ruvido Galles, ma disastroso contro la mobilità inglese a Twickenham dove i blues hanno dato l’impressione di non sapere proprio giocare a rugby. L’uso intensivo dei pesi massimi in nazionale per di più ispira le squadre del campionato con il risultato che i migliori attaccanti devono sacrificare le loro capacità e mettersi al servizio solo della difesa. Il rugby che più amiamo è destinato quindi a scomparire”.
Non fa una piega il ragionamento scritto in un ampio servizio dell’editorialista Marcel de Laborderie che ha messo a soqquadro l’ambiente ovale transalpino mettendo in dubbio l’efficacia delle strategie dei ct francesi che nel perenne tentativo di issarsi sulla vetta del mondo puntano sull’impiego di avanti colossali.
E ancora: “Dove sono finiti i mediani di apertura capaci di attaccare la linea, come possono pensare a lanciare il gioco se le terze linee avversarie arrivano nello stesso momento in cui arriva il pallone passato dal mediano di mischia? Perché gli arbitri non sono inflessibili nel far rispettare il fuorigioco, dovrebbero fioccare le espulsioni a ogni infrazione”.

L’analisi della complicata situazione francese diventa così l’occasione per lanciare un sondaggio in tutto l’Esagono “da cui dipende l’avvenire del nostro rugby”, come viene titolato: “Di fronte a questa tendenza pachidermica ci si deve forse rassegnare a selezionare per il ruolo di apertura solo giocatori da 100 chili che resistano ai placcaggi e che siano dotati al tempo stesso di un possente calcio per spedire il pallone in touche il più lontano possibile? Per questo tipo di gioco non c’è nessuno in Francia più forte di Battaglini! Allora chi è favore di Battaglini come mediano di apertura? Chi è contro?”.
Un momento, Battaglini chi? Mario “Maci” Battaglini? Sì, proprio lui. Ohibò, in effetti le pagine ingiallite avrebbero dovuto mettere in guardia così come il prezzo non banale di 50 franchi necessari per comprare nell’ottobre del 1949 il nuovo mensile Sport Digest, una sorta di risposta francese al veterano italiano Guerin Sportivo in edicola dal 1912. “Rivista di sport di tutto il mondo” è spiegato in copertina dove l’occhio del visitatore dell’ennesimo mercatino delle pulci (In questo caso a Medicina, provincia di Bologna) è caduto su uno degli strilli: “Pour o contre Battaglini”.
Euro ben spesi perché bastava leggere poche righe di quell’articolo per far scomparire d’incanto il virato seppia delle pagine e pure l’olezzino di muffa da cantina. La disamina del gioco francese del 1949 fa volare indietro e avanti nel tempo: quelle critiche a strategie basate su pachidermici avanti risalgono non alla settimana scorsa, ma a 76 anni or sono, a tre generazioni fa, a un rugby che era faticosamente ripartito da un paio di stagioni dopo l’ecatombe della Seconda Guerra Mondiale. E in più il titolo di questo articolo è liofilizzato sulle spalle di Maci Battaglini, trentenne di Rovigo che stava combinando meraviglie nella serie A francese con il Vienne portato a suon di calci fino alla semifinale per lo Scudo di Brennus.
Citato in tutti i libri di Storia del rugby francese un suo piazzato da 63 metri (di punta, col destro, per un pallone ovale simil palla medica sistemato nella conchetta scavata col tallone) che permise al Vienne di battere il terribile Beziers a domicilio. “Le roi des buteurs” (il re dei calciatori), “le pied d’or”, “le bon geant” (il gigante buono), “le grand Battà”. I titoloni dell’Equipe erano tutti suoi, per la gelosia di Robert Soro, il leone di Swansea, l’asso più luccicante della nazionale francese dell’epoca. Maci (da Macistin, vezzeggiativo per il “piccolo” neonato Mario) aveva all’epoca due caps e solo al ritorno a Rovigo dopo l’avventura francese timonò i rossoblù (con una mischia bella pesante, si capisce) alla vittoria di tre scudetti consecutivi: non giocava apertura, ma terza linea, fra quei bersaglieri, pur non risparmiando sui calci di spostamento che oggi sarebbero tutti 50/22.
Da notare che nel 5 Nazioni di pochi mesi prima la Francia aveva battuto l’Irlanda in trasferta e il Galles a Colombes arrivando quindi seconda a pari merito con l’Inghilterra (allora non c’era la follia modernista, ingiustificata e soprattutto disdicevole di contare la differenza punti fatti/subiti). Ovvero non è che quella Francia del 1949 con gli avanti superpesanti (per l’epoca, non tutti arrivavano al quintale) fosse una vecchia ciabatta, ma la deriva che si rifletteva anche nel campionato dei club già faceva giustamente preoccupare gli appassionati difensori dello spirito del gioco, di un rugby alla portata di tutte le taglie, di un gioco negli spazi e non solo autoscontri fracassa ossa.
E proprio in quel campionato allora massacrante ancor più del Top 14 di oggi che svettava il gigante di Rovigo (1 metro e 85 x 105 chili) con i suoi piazzati e suoi calci di liberazione dalla lunghissima gittata. E non è certo Maci il colpevole della strategia studiata alla bilancia, ma è emblematico che per richiamare l’attenzione sulla crisi del gioco si usi l’espediente di citare il mediano di apertura più forte del campionato, possente da resistere ai placcaggi e potente al piede.
Maci Battaglini con la maglia del Rovigo campione d’Italia nella stagione 1952/1953
La lettura dell’articolo del 1949, ovvero 76 anni fa, sul sondaggio pro o contro Battaglini in Francia è illuminante anche perché riporta a una delle massime del patriarca della nostra categoria di scribi ovali: Luciano Ravagnani, cresciuto peraltro all’ombra di Battaglini, è implacabile nell’individuare l’origine primordiale di ogni (presunta) novità nel gioco. Con poche pennellate della memoria dimostra ogni volta che “il futuro è sempre esistito” e che noi stupefatti davanti alle trovate del Rassie Erasmus di turno non siamo altro che allocchi.
Lo stesso profetico contenuto – quel vetusto fascicoletto di Sport Digest di 130 pagine vale davvero molto – si trova anche in un altro articolo che segue quello su Battaglini: “A che punto è la guerra dei due rugby” ovvero gli effetti della crescita del Rugby a XIII su quello a XV e le possibili, anzi probabili, conseguenze nefaste del professionismo. Di sicuro Luciano ne ha già scritto da qualche parte.
Nella foto del titolo una carica di Jonathan Danty trequarti centro della Francia alla scorsa Coppa del Mondo (Photo by Pauline Ballet – World Rugby/World Rugby via Getty Images)