
Sembra quasi di essere finiti dentro a un sogno, averli tutti qui in casa nostra, sentirli parlare di paure e obiettivi, di rispetto e buoni propositi. Dopo gli alberghi lussuosi di Londra e Dublino il Sei Nazioni ha scelto Roma per presentarsi al mondo, il fascino del Colosseo per la foto di rito e quello di Palazzo Brancaccio per ospitare le chiacchiere e i buoni propositi di commissari tecnici e capitani che tra due settimane si confronteranno nelle sfide senza tempo. Il Giubileo del Torneo più antico che ci sia e le sue celebrazioni li ha portati tutti qui, forse un riconoscimento per la svolta dell’ultima, esaltante, edizione, quella dei successi sulla Scozia e in Galles e del pareggio in Francia.
Equilibri sottili, parole a fiumi, con l’enigmantico Galthié che si nasconde dietro ai suoi occhiali d’ordinanza, con Gatland che va alla battaglia senza pressioni, tanto peggio di così il suo Galles non può fare, l’Irlanda che si affida a Easterby dopo aver concesso a Andy Farrell un anno di lavoro alla corte dei British and Irish Lions, Gregor Townsend che rimpiange l’assenza per infortunio del suo capitano Tuipulotu e Steve Bortwhwick che individua in Maro Itoje l’uomo giusto al posto giusto per guidare l’Inghilterra alla rinascita.

Parole di circostanza e analisi tecniche circostanziate, con l’Italia che finalmente non è più l’intruso a corte, ma sarà perché per una volta padrona di casa, sembra godere del rispetto di tutti. Molto lo deve allo charme di Gonzalo Quesada, il tecnico psicologo a suo agio con le varie lingue del Torneo, che non si tira indietro di fronte alle domande e offre sempre analisi precise su quello che vorrebbe e quello che potrebbe essere.
«So per certo che quest’anno sarà più difficile dell’anno scorso, quando appena iniziato un nuovo percorso abbiamo avuto grandi risultati. Avremo tante pressioni, per una volta dico che mi piacerebbe cambiare il mio posto con Gatland che in questo momento sta vivendo un momento di ricostruzione e nessuno si sogna di chiedergli la luna: dovremo abituarci, anche perché a me personalmente piace vivere con la pressione. Non vedo l’ora di ricominciare». Con qualche rimpianto: «Il più grande è l’aver perso due giocatori chiave per noi in un’unica azione: Zambonin quest’anno era il giocatore che più aveva dimostrato una crescita fisica, tecnica, mentale e sicuramente si sarebbe giocato un posto da titolare. Il suo infortunio contemporaneamente alla squalifica di Spagnolo ci ha creato due grossi problemi da affrontare. E se ho un grande dispiacere è per il nuovo infortunio di Pani, un ragazzo che poteva offrirci valide alternative in un reparto in cui dovremo inventare soluzioni in base agli avversari».
Non si parla di obiettivi, di vittorie promesse, di classifiche da scalare: «Questa squadra deve continuare ad affidarsi alla sua anima latina, alla sua grande passione e metabolizzare i sentimenti che ha suscitato nella gente. Il fatto di tornare dopo tanto tempo sulla tv pubblica è un segnale importante, un dovere in più per onorare questa maglia».
Nella foto del titolo, i capitani al Colosseo, da sinistra Jac Morgan (Galles), Maro Itoje (Inghilterra), Antoine Dupont (Francia), Caelan Doris (Irlanda), Rory Darge (Scozia), Michele Lamaro (Italia) – foto ©INPHO/Billy Stickland