L’annuncio dei 33 giocatori scelti da Kieran Crowley è stato fatto con una bella idea di comunicazione: all’immagine attuale di ciascun giocatore ne è stata affiancata una dello stesso da bambino, ove possibile nella maglia del club con cui ha cominciato la carriera. “Una testimonianza del forte legame che intercorre tra la base e il vertice del movimento – dice il comunicato federale – per celebrare il sogno di tutte quelle bambine e bambini che si avvicinano al gioco, sognando un giorno di poter vestire la maglia della Nazionale alla Rugby World Cup”. https://www.dropbox.com/scl/fi/wnlu4slx5xegv6u3o6yxq/Convocati_DEF.mp4?rlkey=6m3lrc2psvpag3ezt7pxzpu8i&dl=0
Bene, bravi, bis. Peccato che dei 33 convocati, più di un terzo abbia cominciato la propria carriera all’estero. Il che non sminuisce affatto il valore del sogno: c’è differenza tra un sogno concepito a Melbourne, a Coventry, a Gisborne o a Milano? No, in nessun caso. Qui non vale lo slogan “prima gli italiani”. E poi, così fan tutte…dice ogni attento osservatore ovale: la Scozia, il Galles, la Francia, financo l’Inghilterra e l’Irlanda si avvalgono di giocatori nati altrove, perché non dovrebbe farlo l’Italia?
Infatti lo facciamo, ma visto che si parla del “forte legame che intercorre tra la base e il vertice del movimento”, una domanda sorge spontanea: quale movimento, quale base celebriamo, oltre a quella italiana, quella neozelandese, quella australiana, quella inglese, quella francese? Base per altezza è una formula con cui fatichiamo a confrontarci.
Nelle foto (Getty Images) tre Azzurri di scuola straniera alla fine del match con la Romania, da sinistra: Monty Ioane, Dino Lamb, Polo Odogwu. Nessuno di loro ha qualcosa a che fare con il rugby di base italiano.